Questa favola insegna a non
disprezzare nessuno, perché nessuno è
tanto debole che, offeso, non sia in grado giorno di vendicarsi.
Una
volta un’aquila fu catturata da un uomo. Questi le mozzò le ali e poi la
lasciò andare, perché vivesse in mezzo al pollame di casa. L’aquila stava a
capo chino e non mangiava più per il dolore: sembrava un re in catene. Poi la
comperò un altro, il quale le strappò le penne mozze e, con un unguento di
mirra, gliele fece ricrescere. Allora l’aquila prese il volo, afferrò con gli
artigli una lepre e gliela portò in dono. Ma la volpe che la vide, ammonì:
"I regali non devi farli a questo, ma piuttosto al padrone di prima: questo
è già buono per natura; l’altro invece è meglio che tu lo rabbonisca, perché
non ti privi delle ali se ti acchiappa di nuovo".
Sta
bene ricambiare generosamente i benefattori, ma bisogna anche guardarsi
prudentemente dai malvagi.
Posato su un’alta quercia, un usignuolo, secondo il suo solito, cantava.
Lo scorse uno sparviero a corto di cibo, gli piombò addosso e se lo portò via.
Mentre stava per ucciderlo, l’usignuolo lo pregava di lasciarlo andare,
dicendo
che esso non bastava a riempire lo stomaco di uno sparviero: doveva rivolgersi a
qualche uccello più grosso, se aveva bisogno di mangiare. Ma l’altro lo
interruppe,
dicendo: "Bello sciocco sarei, se lasciassi andare il pasto che ho qui
pronto tra le mani, per correr dietro a quello che non si vede ancora! ".
Così, anche tra gli uomini, stolti sono coloro che, nella speranza di
beni maggiori, si lasciano sfuggire quello che hanno in mano.
La
rondine consigliava all'usignolo a nidificare, come lei, sotto il tetto degli
uomini e a condividere la loro dimora. Ma quello rispose: "Non desidero
ravvivare la memoria delle mie antiche sventure; per questo vivo nei luoghi
solitari.
Chi
è stato colpito da una sventura cerca di sfuggire persino il luogo dove questa
gli accadde.
Ad Atene, un debitore, a cui era stato ingiunto dal
creditore di pagare il suo debito, sulle prime lo pregò di concedergli una
dilazione, dichiarando che si trovava in cattive acque. Non riuscì però a
convincerlo; e allora gli portò una scrofa, l’unica che possedeva, e, in sua
presenza, la mise in vendita. Gli si avvicinò un compratore, chiedendo se
quella era una scrofa che figliava, e lui l’assicurò che non solo figliava,
ma presentava anche una particolarità straordinaria: alla stagione dei Misteri
figliava femmine, e per le Panatenee, maschi. A questo discorso, l’ascoltatore
rimase a bocca aperta. Ma il creditore soggiunse: " E perché ti
meravigli? Questa è una scrofa che, per le Dionisiache, ti figlia anche dei Capretti"
Questa favola ci mostra come molti, per il proprio interesse,
giurino senza esitare le più inverosimili falsità.
Un tale comperò uno schiavo moro, pensando che il suo colore fosse dovuto
all’incuria del precedente proprietario. Condottolo a casa, provò su di lui
tutti i detersivi e tentò di sbiancarlo con lavacri di ogni sorta. Ma non
riuscì a cambiargli il colore; anzi, con tutti i suoi sforzi lo fece ammalare.
Questa
favola ci mostra come le qualità naturali si conservino quali si sono
manifestate originariamente.
Un pescatore pescava in un fiume. Dopo aver teso le reti
e sbarrato la corrente dall’una all’altra riva, batteva l’acqua con una
pietra legata a una funicella, perché i pesci, fuggendo all’impazzata,
andassero ad impigliarsi tra le maglie. Vedendolo intento a quest’operazione,
uno degli abitanti del luogo si mise a rimproverarlo perché insudiciava il
fiume e rendeva loro impossibile di bere un po’ d’acqua limpida. E quello
rispose: "Ma se non intorbido così l’acqua, a me non resta che morir di
fame".
Così anche negli Stati, per i
demagoghi gli affari vanno bene specialmente quando essi son riusciti a seminare
il disordine nel loro paese.
L’alcione
è un uccello amante della solitudine, che vive sempre sul mare e fa, dicono, il
suo nido sugli scogli vicini alla costa, per sfuggire alla caccia degli uomini.
Un giorno un alcione che stava per deporre le uova, posandosi
su di un promontorio, scorse una roccia a picco sul mare, e andò a farci
il nido. Ma una volta, mentre esso era fuori in cerca di cibo, accadde che il
mare, gonfiato dal soffio impetuoso del vento, si sollevò fino all’altezza
del
nido e lo inondò, affogando i piccoli. Quando, al suo ritorno l’alcione vide
quel che era accaduto: "Me misero", esclamò, "per guardarmi
dalle insidie della terra mi rifugiai sul mare; e il mare mi si è dimostrato
ben più infido di quella.
Questo capita anche a certi uomini, che, mentre si guardano dai
loro nemici, senz’avvedersene, vanno a cascare in mezzo ad amici che sono ben peggiori di quelli.
Un giorno un branco di volpi si
radunò sulle rive del fiume Meandro per abbeverarsi. Ma, per quanto si
esortassero a vicenda, non osavano scendere, intimorite dallo scroscio della
corrente. Allora una di esse venne fuori a svergognare le compagne e, irridendo
alla loro pusillanimità, come colei che si credeva più brava delle altre, balzò
arditamente nell’acqua. La corrente la trasportò nel mezzo. Le compagne,
stando sulla riva, le gridavano: Non abbandonarci; torna indietro a farci vedere
da che parte si passa per bere senza pericolo! E quella, mentre la corrente la
trascinava via: "Devo portare una risposta a Mileto , diceva,
e non voglio mancare. Quando torno indietro ve lo farò vedere"
Questa va a chi si caccia da solo nei guai, per far lo spavaldo.
Una volpe affamata, vedendo, nel cavo di una quercia, del pane e della
carne lasciativi da qualche pastore, vi entrò dentro e li mangiò. Ma quando
ebbe la pancia piena, non riuscì più a venir fuori, e prese a sospirare e a
gemere. Un’altra volpe che passava a caso di là, udì i suoi lamenti e le si
avvicinò, chiedendogliene il motivo.
Quando seppe l’accaduto: “E tu resta lì", le
disse, “finché non sarai ritornata com’eri quando c’entrasti: così ne
uscirai facilmente .
Questa favola mostra che il tempo risolve le difficoltà.