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Esopo

 

IL MELOGRANO, IL MELO, L’OLIVO E IL ROVO

Il melograno, il melo e l’olivo vantavano ciascuno la propria feracità. La discussione si faceva animata, quando il rovo, che li udiva dalla siepe vicina, saltò su a dire: “Olà, amici, finiamola una buona volta di litigare!”.

   In tal modo, quando i migliori sono intenti a litigare, anche quelli che non valgon nulla cercano di darsi delle arie.

 

IL TROMBETTIERE

Il trombettiere, preso dal nemico mentre chiamava a raccolta l’esercito, si mise a gridare: “O soldati, non ammazzatemi così alla leggera e senza alcun motivo. Io non ho mai ucciso nessuno di voi e, all’infuori di questa tromba non posseggo altra arma”. “Ragion di più per ammazzarti”, risposero quelli; “non sei capace di combattere tu, e inciti gli altri a farlo”.

   La favola mostra che i più colpevoli sono coloro che incitano al male i principi cattivi e crudeli.

 

LA TALPA E SUA MADRE

Una talpa, animale cieco di natura, annunziò a sua madre che ci vedeva. Questa, per metterla alla prova, le diede un granello d’incenso e le domandò che cos’era. Essa dichiarò che era una pietruzza. “Creatura mia”, esclamò allora la madre, “tu non solo non ci vedi, ma hai perso persino l’odorato!”.

   Così ci sono dei fanfaroni che promettono l’impossibile e poi fanno figuracce nelle cose più semplici.

 

IL CINGHIALE E LA VOLPE

Un cinghiale s’era messo vicino a un albero e vi aguzzava sopra le zanne. La volpe gli chiese perché mai, quando né cacciatori né altro pericolo gli sovrastava, egli aguzzava i denti. “Non lo faccio certo senza perché”, rispose il cinghiale. “Se mi capitasse addosso qualche guaio, allora non avrei più il tempo per affilarle; ma se saranno pronte, me ne servirò”.

   La favola insegna che i preparativi si devono fare prima che si presenti il pericolo.

 

IL CINGHIALE, IL CAVALLO E IL CACCIATORE

 Un cinghiale e un cavallo andavano a pascolare nello posto. Ma il cinghiale tutti i momenti calpestava l’erba e intorbidava l’acqua al cavallo, il quale, per vendicarsi, ricorse all’aiuto di un cacciatore. Questo gli rispose che non poteva far nulla per lui, se non si rassegnava a lasciarsi mettere il freno e a prenderlo in groppa; e il cavallo acconsentì a tutte le sue richieste. Allora il cacciatore gli salì in groppa, mise fuori combattimento il cinghiale e poi, condotto seco il cavallo, lo legò alla greppia.

   Così molti, mossi da un cieco impulso di collera, per vendicarsi dei propri nemici, si precipitano sotto il giogo altrui.

 

LA SCROFA E LA CAGNA CHE SI INSULTAVANO A VICENDA

La scrofa e la cagna si insultavano a vicenda. La scrofa prese a giurare che lei — per Afrodite! — avrebbe sbranato la cagna. E la cagna, beffarda, le disse: “Sì, fai bene  a giurarmelo su Afrodite, perché tutti sanno che la dea ti vuole un gran bene. Quelli che hanno assaggiata la tua sporca carnaccia, non permette nemmeno che entrino nel suo tempio!”. “Ma questa”, disse l’altra, “è una prova lampante dell’affetto che la dea nutre per me, perché essa respinge chiunque mi uccida o mi faccia in qualche modo del male. Quanto a te, poi, tu puzzi da viva e puzzi da morta”.

   La favola mostra come un abile oratore possa accortamente convertire in elogi gli insulti ricevuti dai nemici.

 

 

LE VESPE, LE PERNICI E IL CONTADINO

 Vespe e pernici, afflitte dalla sete, andarono da un contadino a chiedergli da bere, promettendo che, in cambio l’acqua, gli avrebbero resi questi servizi: le pernici,  di zappargli la vigna, e le vespe, di tener lontani i ladri con i loro pungiglioni, facendovi la guardia tutt’attorno.Il contadino rispose: “Ma io ho due buoi, che non promettono nulla e mi fanno tutto; dunque è meglio che dia da bere a loro che a voi”.

   La favola va bene per certi uomini rovinosi che, promettendo di aiutarci, ci recano gravi danni.

 

 LA VESPA E IL SERPENTE

 Una vespa, posatasi sulla testa di un serpente, lo tormentava, pungendolo senza tregua col suo aculeo. Quello sconvolto dal dolore, non riuscendo a vendicarsi della sua nemica, cacciò la testa sotto la ruota di un carro sì morì lui insieme con la vespa.

   La favola mostra che c’è della gente disposta a morire pur far morire i suoi nemici.

 

 

LA CICALA E LA VOLPE

Una cicala cantava sull’alto di una pianta. Una volpe, che aveva voglia di mangiarsela, escogitò una trovata di questo genere: si fermò là dirimpetto e cominciò a far meraviglie per la dolcezza del suo canto e a pregarla di scendere, dichiarando che desiderava vedere com’era grossa la bestia dotata di una voce così potente. La cicala, che sospettava il suo gioco, staccò una foglia e la gettò giù. La volpe le si precipitò addosso, come avrebbe fatto con la cicala. E quella: “Ti sei sbagliata, cara mia, se speravi che io scendessi. Io, dal giorno che ho veduto delle ali di cicala in un cacherello di volpe, delle volpi non mi fido”.

   Le sventure del prossimo rendono accorti gli uomini di buon senso.

 

LA CICALA E LE FORMICHE

In una giornata d’inverno le formiche stavano facendo seccare il loro grano che s’era bagnato. Una cicala affamata venne a chiedere loro un po’ di cibo. E quelle le dissero: “Ma perché non hai fatto provvista anche tu, quest’estate?”. “Non avevo tempo”, rispose lei, “dovevo cantare le mie melodiose canzoni”. “E tu balla, adesso che è inverno, se d’estate hai cantato!”, le dissero ridendo le formiche.

   La favola mostra che, in qualsiasi faccenda, chi vuol evitare dolori e rischi non deve essere negligente.

 

IL MURO E IL CHIODO

 Un muro, trafitto brutalmente da un chiodo, gridava: “Perché mi trafiggi, se io non ti ho mai fatto nulla di male?”. E l’altro: “La colpa non è mia, ma di quello mi picchia dietro con tutta la sua forza”.

 

L’AVARO

  Un avaro aveva liquidato tutto il suo patrimonio e l’aveva convertito in una verga d’oro; poi l’aveva sotterrato in un certo luogo, sotterrandoci insieme la sua vita e il suo cuore, e tutti i giorni andava a farci un’ ispezione. Un operaio lo tenne d’occhio, subodorando la verità, andò a scavare e si portò via la verga. Dopo un po’ arrivò anche l’avaro e, trovando la sua buca vuota, cominciò a piangere e a strapparsi i capelli. Ma un tale, che l’aveva visto lamentarsi così dolorosamente, quando ne seppe la ragione, gli disse: “Non disperarti così, mio caro; tanto, oro non ne avevi nemmeno quando lo possedevi. Prendi una pietra, mettila al suo posto, e immagina d’avere il tuo oro: ti farà lo stesso servizio; perché vedo bene che, anche quando il tuo oro era là, tu non ne facevi nulla”.

La favola mostra che nulla vale possedere una cosa senza goderla.

 

IL FABBRO E IL SUO CANE

  Un fabbro aveva un cane che continuava a dormire mentre lui lavorava; appena però si metteva a tavola, se lo trovava al fianco. “Brutto poltrone”, gli disse, gettandogli un osso, “dormi quando io batto l’incudine; ma basta che muova le mascelle, e ti svegli subito!”.

La favola svergogna i dormiglioni, i pigri e tutti quelli che vivono delle altrui fatiche.

 

LA RONDINE FANFARONA E LA CORNACCHIA

 La rondine diceva alla cornacchia: “Io sono una fanciulla, e sono d’Atene, e sono di sangue reale, e son figlia del re d’Atene”, e continuava, con la storia di Tereo, e della violenza subita, e del taglio della lingua. “T’han tagliata la lingua”, disse la cornacchia, “e hai tanta parlantina! Che cosa mai succederebbe se ce l’avessi?”.

   I fanfaroni, a forza di parlare a vanvera, con i loro discorsi si smentiscono da soli.

 

LA TARTARUGA E L’AQUILA

Una tartaruga pregava un’aquila perché le insegnasse a volare, e quanto più questa le dimostrava che era cosa aliena dalla sua natura, tanto più l’altra insisteva nelle sue preghiere. Allora l’aquila l’afferrò tra gli artigli, la sollevò in alto, e poi la lasciò cadere. La tartaruga casco su una roccia e si fracassò.

   La favola mostra come, a dispetto dei consigli dei saggi, molti si rovinino per voler scimmiottare il prossimo.

   

LA TARTARUGA E LA LEPRE

 Una tartaruga e una lepre continuavano a far discussioni sulla loro velocità. Finalmente, fissarono un giorno e un punto di partenza e presero il via. La lepre, data la sua naturale velocità, non si preoccupò della cosa: si buttò giù sul ciglio della strada e si addormentò. La tartaruga, invece, consapevole della sua lentezza, non cessò di correre, e così, passando avanti alla lepre che dormiva, raggiunse il premio della vittoria.

   La favola mostra che spesso con l’applicazione si ottiene più che con i doni naturali non coltivati.

 

 
 
 
 
 

 

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