IL MEDICO IGNORANTE
C’era una volta un medico ignorante che curava un ammalato. Tutti i suoi
colleghi dicevano che la malattia sarebbe stata lunga, ma che il paziente non
correva alcun pericolo; lui solo, invece, lo invitò a provvedere alle cose
sue, perché — dichiarava — non avrebbe passato il giorno dopo. Pronunciata
questa sentenza, se ne andò. Passò del tempo; il malato si alzò e uscì,
pallido, camminando a stento. Lo incontrò il nostro medico. “Salute”, gli
disse, “come stanno laggiù, quelli dell’Inferno?”. E l’altro: “Se ne stanno in
pace, perché hanno bevuto l’acqua del Lete . Poco tempo fa, però, la Morte e
Ade minacciavano terribili vendette contro i medici, perché impediscono agli
ammalati di morire, e registravano tutti i loro nomi. Volevano scrivere anche
il tuo; ma io mi gettai ai loro piedi, e li supplicai, giurando che si tratta
di pura calunnia, perché tu non sei un medico sul serio”.
La presente favola mette alla gogna certi medici ignoranti, incolti e tutto
chiacchiere.
IL PIPISTRELLO E LE DONNOLE
Un
pipistrello, caduto per terra, fu afferrato da una donnola e, mentre stava per
esser ucciso, la pregava di risparmiarlo. Quella dichiarò che non poteva
lasciarlo andare, perché essa era per natura nemica di tutti gli uccelli.
Allora il pipistrello spiegò che esso non era un uccello, ma un topo, e così
fu lasciato andare. Più tardi cadde di nuovo, fu preso da un’altra donnola, e
pregò anche quella di non divorarlo. Quella rispose che essa odiava tutti i
topi, e il pipistrello, dichiarando che non era un topo bensì un uccello, se
la cavò di nuovo. Ecco come fu che, con un cambiamento di nome, il pipistrello
riuscì a sfuggire due volte alla morte.
La favola mostra che non bisogna ricorrere sempre agli stessi espedienti, ma
riflettere come si possa sottrarsi ai pericoli adattandosi alle circostanze.
LA ZANZARA E IL LEONE
Una zanzara andò dal leone e gli disse: “Io non ti temo e tu non sei affatto
più forte di me. Non ci credi? In che cosa consiste la tua forza? Graffiare
con le unghie e mordere coi denti? Ma questo lo fa qualsiasi donnetta quando
litiga col marito. Io sì che sono molto più forte di te. Scendiamo pure in
campo, se vuoi”. E dato fiato alla tromba, la zanzara gli si gettò contro,
punzecchiandolo intorno alle narici, in quella parte dove il muso non è
protetto dai peli. Il leone con i suoi artigli non faceva che graffiare se
stesso, finché rinunciò al combattimento. Risultata così vincitrice del leone,
la zanzara sonò la tromba, cantò l’epinicio e poi prese il volo. Ma andò a
sbattere nella tela di un ragno. E mentre questo se la succhiava, essa faceva
lamento, essa che, dopo aver mosso guerra ai più potenti, periva ora per opera
di un ragno, il più vile degli insetti.
LA PADRONA E LE ANCELLE
Una vedova tutta lavoro aveva delle servette, che svegliava d’abitudine al
canto del gallo, perché attendessero alle loro faccende. Quelle, stanche delle
continue fatiche, considerando responsabile dei loro mali il gallo, che
svegliava di notte la padrona, pensarono che conveniva tirargli il collo. Ma,
quando l’ebbero fatto, capitò loro di peggio, perché la padrona, non sapendo
più l’ora della levata dei galli, prese a svegliarle a notte più fonda per
farle lavorare.
Così, per molti uomini, sono fonte di sventura le loro proprie decisioni.
IL TAGLIALEGNA ED ERMES
A un taglialegna cadde l’accetta nel fiume presso cui stava lavorando. Non
sapendo che fare, si mise a piangere, seduto sulla sponda. Ermes, saputa la
ragione del suo pianto, si impietosì; fece un tuffo nel fiume e portò su un
accetta d’oro, chiedendogli se era quella che aveva perduto. L’uomo rispose dl
no, ed Ermes, tuffatosi di nuovo, ne portò sù una d’argento; e poiché l’uomo
dichiarava che non era nemmeno quella, si tuffò una terza volta e gli portò
fuori la sua. Allora il taglialegna disse che si trattava veramente di quella
che aveva perduta, ed Ermes, soddisfatto della sua onestà, gliele diede tutte
e tre. Il boscaiolo, ritornato tra gli amici, raccontò loro l’accaduto, e uno
di essi pensò di poterne ricavare un uguale profitto. Andò al fiume, gettò a
bella posta la sua accetta nell’acqua e poi si sedette lì a piangere. Anche a
lui comparve Ermes e, informatosi del motivo del suo pianto, si tuffò e portò sù a lui pure un’accetta d’oro, chiedendogli se era quella che aveva perduta.
"Ma sì, certo che è quella!", rispose l’altro, esultante. Il dio, indignato
di tanta sfacciataggine, non solo si tenne l’accetta d’oro, ma non gli riportò
nemmeno la sua.
La favola mostra che la divinità è tanto propizia agli onesti quanto ostile ai
disonesti.
IL GATTO E I TOPI
C’era una casa piena di topi. Lo venne a sapere un gatto, che andò a
stabilirvisi e, prendendoli uno alla volta, se li mangiava. I topi, fatti segno
a quella sistematica distruzione, si rimpiattavano nelle loro buche, finché il
gatto, non arrivando più a prenderli, capì che bisognava farli uscir fuori con
qualche tranello. Perciò salì sopra un piolo, e, lasciandosi penzolare giù,
fingeva d’essere morto. Ma quando un topo, facendo capolino, lo scorse, esclamò:
“Caro mio, puoi diventare anche un sacco, ma noi vicino a te non ci verremo!”
Questa
favola mostra come gli uomini prudenti, una volta fatta esperienza della
malvagità di qualcuno, non si lascino più ingannare dalle sue finzioni.
IL PADRE E LE FIGLIE
Un tale
che aveva due figlie, ne diede in moglie una un ortolano e l’altra a un vasaio.
Dopo un po’ di tempo, andò dalla prima e le chiese come stava e come andavano i
loro affari. Ella rispose che tutto andava bene, e che aveva solo una cosa da
chiedere agli dèi: temporali e piogge per innaffiare gli ortaggi. Poi il padre
andò da quella che era moglie del vasaio e anche a lei chiese come andassero le
cose. Questa rispose che non aveva bisogno di nulla, e che pregava soltanto che
durasse il tempo sereno e un bel sole per seccare il vasellame. « E io”,
esclamò allora il padre, “ per chi dovrò mai pregare, se tu chiedi il sereno e
tua sorella la pioggia?”
Così, se
si mette mano contemporaneamente a due imprese contrastanti, è naturale che
vadano male l’una e altra.
ZEUS E LA VOLPE
Ammirato dell’intelligenza e della versatilità della volpe, Zeus le conferì la
sovranità sulle bestie. Ma poi volle vedere se, mutando sorte, s’era anche
corretta delle sue abitudini meschine e, mentre essa passava in lettiga, le fece
volare davanti agli occhi uno scarabeo. La volpe, incapace di dominarsi dinanzi
all’insetto che continuava a svolazzare intorno alla lettiga, e incurante del
suo decoro, balzò fuori per cercar d’acchiapparlo. Allora Zeus, sdegnatosi con
lei, la retrocesse alla sua primitiva condizione.
La favola
mostra che gli uomini dappoco non mutano affatto la loro natura, anche se si
rivestono delle più splendide apparenze.
L’AQUILA E LA VOLPE
Un’aquila e una volpe, fattesi amiche, stabilirono di abitare una vicino
all’altra, pensando che la vita in comune avrebbe rafforzato la loro amicizia.
Ed ecco che la prima volò sulla cima di un albero altissimo e vi fece il suo
nido; l’altra strisciò sotto il cespuglio che cresceva ai suoi piedi e qui
partorì i suoi piccoli. Ma un giorno, mentre la volpe era uscita a cercar da
mangiare, l’aquila, che si trovava a corto di cibo, piombò nel cespuglio,
afferrò i volpacchiotti e se ne fece una scorpacciata insieme coi suoi figli.
Quando, al suo ritorno, la volpe vide che cosa le avevano fatto, fu colta da un
dolore che non era nemmeno tanto grande per la morte dei suoi piccoli, quanto
per il pensiero della vendetta: animale di terra, essa non aveva infatti la
possibilità di inseguire un volatile. Perciò, immobile, di lontano, unico
conforto che rimane ai deboli e agli impotenti, scagliava maledizioni sulla sua
nemica. Ma non passò molto e toccò all’aquila scontare il suo delitto contro
l’amicizia. Infatti, un giorno che in campagna si offriva in sacrificio una
capra agli dèi, essa piombò giù e si portò via dall’altare uno dei visceri che
stava prendendo fuoco; ma quando l’ebbe trasportato nel suo nido, un forte
soffio di vento lo investì e da qualche filo di paglia secca suscitò una vivida
fiammata. Così i suoi piccoli — volatili ancora impotenti — furono abbruciati e
cascarono al suolo. La volpe accorse e se li divorò tutti sotto gli occhi della
madre.
La favola
mostra come coloro che tradiscono l’amicizia, se anche, per l’impotenza delle
vittime, sfuggono alla loro vendetta, non riescono però mai ad evitare a
punizione degli dèi.
ERMES E TIRESIA
Ermes,
volendo mettere alla prova Tiresia, per vedere se realmente possedesse l'arte
divinatoria, rubò i buoi che quello aveva nella sua campagna, e poi si recò in
città, sotto forma umana, e si fece ospitare in casa sua. Quando giunse a
Tiresia la notizia che il suo paio di buoi era scomparso, egli uscì fuori dalla
città, per trarre dal volo degli uccelli un responso circa il furto patito, e
prese con sé Ermes, pregandolo di dirgli che uccelli vedeva passare. Per prima
cosa Ermes vide un'aquila che volava da sinistra a destra, e glielo annunciò; ma
Tiresia dichiarò che questa non aveva nulla a che fare con loro. Poi Ermes vide
una cornacchia che, appollaiata su un albero, ora guardava in sù, ora si chinava
verso terra e lo disse a Tiresia. Ed egli, subito: "Ecco", esclamò, "questa
cornacchia sta giurando, in nome del cielo e della terra, che i miei buoi io li
potrò riavere, basta che lo voglia tu".
Questa è
una favola di cui ci si potrebbe servire a proposito di un ladro.