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Esopo

 

LE RANE VICINE DI CASA

Due ranocchie erano vicine di casa: una abitava in stagno profondo e discosto dalla strada, l’altra in una pozzanghera sulla strada stessa. Quella dello stagno consigliava l’altra a trasferirsi da lei, per godere una vita più comoda e più sicura, ma questa non le dava retta e diceva che non poteva staccarsi dalla sua dimora abituale; così andò a finire che passò di là un carro e la schiacciò.

   Così, anche tra gli uomini, ci sono di quelli che, attaccati loro sciocche abitudini, piuttosto che cambiare in meglio, son disposti a morire.

 

LE RANE DEL PANTANO

 Due rane, abbandonato il pantano dove abitavano, perché nell’estate s’era prosciugato, andavano cercandone un altro. Capitarono presso un profondo pozzo, e una di esse, quando lo vide, disse all’altra: “Ehi, tu! scendiamo giù insieme in questo pozzo”. Ma l’altra le rispose: “E se poi l’acqua secca anche qui, come faremo a uscirne fuori?”.

   La favola mostra che non bisogna mai avventurarsi imprudentemente in un’impresa.

   

IL RANOCCHIO MEDICO E LA VOLPE

 Standosene nel suo pantano, un ranocchio annunciava un giorno a gran voce a tutti gli animali: “Io sono un medico e pratico di ogni sorta di cure”. E la volpe, udendolo disse: “Ma come potrai guarire gli altri, tu che sei zoppo e non sei capace di curare te stesso?”.

   Come potrà insegnare agli altri chi è digiuno di scienza. Questa è la morale della favola.

 

LA MOGLIE E IL MARITO UBRIACONE

Una donna che aveva il marito sempre ubriaco, volendo correggerlo del suo vizio, escogitò una trovata di questo genere. Aspettò che egli fosse tanto inebetito per la sbornia da essere insensibile come un morto, e, caricatolo sulle spalle, lo portò al cimitero, lo mise giù, e se ne andò. Quando suppose che avesse smaltito la sbornia, ritornò e bussò alla porta del cimitero. “ Chi  bussa?”, chiese lui. E la donna: “Sono quello che porta da mangiare ai morti”. E l’altro: “Ma no, mio caro, non da mangiare; portami da bere, piuttosto. Mi strazi l’anima a parlar di mangiare e non di bere”. Allora la moglie, battendosi il petto, esclamò:  “Me disgraziata! Tutta la astuzia non m’ha servito a nulla: tu, caro il mio marito, non solo non ti sei corretto, ma sei diventato peggiore di prima, perché il tuo vizio è ormai una seconda natura”.

   La favola mostra che non bisogna persistere nei costumi, perché viene un momento in cui l’abitudine si impone a un uomo anche contro la sua volontà.

 

L’ABETE E IL ROVO

Disputavano tra loro l’abete e il rovo. L’abete si vantava, dicendo: “Io sono bello; io sono slanciato; io sono alto; io servo per i tetti dei templi e per le navi. Come osi misurarti con me?”. Ma il rovo osservò: “Se ti venissero in mente le scuri e le seghe che ti faranno a pezzi, certo preferiresti essere un rovo anche tu”.

   Non è il caso di esaltarsi per la propria gloria in questa vita, perché l’esistenza degli umili è priva di pericoli.

 

IL CERVO ALLA FONTE E IL LEONE

Spinto dalla sete, un cervo se ne andò ad una fonte; bevve, e  poi rimase ad osservare la sua immagine riflessa nell’acqua. Delle corna, di cui ammirava la grandezza  e il ricco disegno, si sentiva tutto orgoglioso, ma delle gambe non era soddisfatto, perché gli parevano scarne e fragili. Mentre ancora stava riflettendo, ecco un leone che si mette ad inseguirlo. Il cervo si dà alla fuga e riesce per un bel pezzo a tenerlo a distanza, perché la forza dei cervi risiede nelle gambe, come quella dei leoni nel cuore. Finché il piano gli si stese dinanzi spoglio di alberi, egli trovò dunque scampo nella sua maggiore quando giunse in una plaga boscosa, accadde che gli si impigliarono le corna nei rami, non poté più correre e  fu preso. Allora, mentre stava per morire, disse a se stesso: “Me disgraziato! quelle gambe che dovevano tradirmi  mi offrivano la salvezza, e mi tocca invece morire proprio per colpa di quello in cui riponevo tutta la  mia fiducia!”.

  Così molte volte, tra i pericoli, la salvezza ci viene da amici che parevano sospetti, mentre altri in cui avevamo piena fiducia ci tradiscono.

 

ZEUS E GLI UOMINI

Zeus, quando ebbe plasmati gli uomini, ordinò a Ermes  di versarvi dentro l’intelligenza. E quello, fatto un misurino uguale per tutti, cominciò a versarla in ognuno essi. Capitò così che agli uomini piccolini, la loro porzione bastò per riempirsene e diventare saggi; ma gli uomini grandi e grossi, a cui il liquido non giunse in tutto il corpo, risultarono piuttosto sciocchi.

   La favola va bene per un uomo grande di corpo ma povero di spirito.

   

ZEUS E APOLLO

Zeus  e Apollo disputavano sul tiro dell’arco. Apollo tese il suo arco e scoccò una freccia. Ma Zeus allungò un piede, ed eccolo là dove era diretta la saetta d’Apollo. Così a combattere con i più forti, non solo non la si spunta ma ci si guadagnano anche le beffe.

 

 

ZEUS E LA TARTARUGA

Al banchetto nuziale di Zeus erano invitati tutti gli animali. Mancava soltanto la tartaruga. Ignorandone la ragione, il giorno dopo, Zeus le chiese come mai essa sola non era intervenuta al pranzo. “La mia casa è la mia reggia”, rispose lei. Ma Zeus, seccatosi, la sua casa, le ordinò di caricarsela sulle spalle e di portarsela attorno.

   Ce ne sono molti, uomini così, i quali preferiscono vivere modestamente a casa propria che passarsela da signori in casa altrui.

 

ZEUS GIUDICE

Zeus aveva stabilito che Ermes scrivesse le colpe degli uomini sopra  dei cocci, deponendoli in un’arca al suo fianco, sì che egli potesse assegnare ad ognuno il suo castigo. Ma poi i cocci si mescolarono tra di loro e così certi arrivano più tardi e certi più presto nelle mani di Zeus, per esservi sottoposti al suo infallibile giudizio.

   Non bisogna meravigliarsi che gli ingiusti e i malvagi non siano più presto puniti dei loro misfatti.

 

 
 
 

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