IL SOLE E LE RANE
Si celebravano, in piena estate, le nozze del Sole. Tutti gli animali ne
erano lieti, e anche le ranocchie si davano alla pazza gioia. Ma una di esse
saltò sù: “Perché tutta questa
allegria, o sciocche? Se, una volta sposato, il Sole metterà al mondo un figlio
come lui, che cosa mai non ci toccherà patire, dato che ora, da solo, riesce già
a farci seccare tutti i pantani?”
Ci sono molti uomini con poco sale in zucca che festeggiano avvenimenti
per cui non ci sarebbe proprio ragione di rallegrarsi.
Una bella mula rimpinzata di biada si mise a
scalpitare, dichiarando ad alta voce a se stessa: “Cavallo dal rapido piede fu mio padre; ed io son tutta lui”. Ma un
giorno si presentò la necessità di correre e la mula doveva farlo davvero.
Quando ebbe finita la corsa, si sentì triste, e le venne in mente,
all’improvviso, che suo padre era un asino.
La favola mostra che, anche
quando le circostanze rendono un uomo famoso, egli non deve mai dimenticare le
proprie origini, perché questa vita è piena di incertezze.
IL
MEDICO E L’AMMALATO
Un
medico aveva in cura un ammalato, che gli morì. “Ecco”,
diceva a quelli che ne seguivano il funerale, “se quest’uomo si fosse
astenuto dal vino e avesse fatto dei clisteri, non sarebbe morto”. Ma uno dei presenti lo
interruppe: “Mio caro, queste cose avresti dovuto dirle quando egli poteva
approfittare dei tuoi consigli; non ora che non servono più a nulla”.
La
favola mostra che gli amici devono prestare il loro aiuto nel momento del
bisogno, e non sputar sentenze quando ogni speranza è perduta.
Un nibbio afferrò un serpente e si levò a volo. Ma il
sente si rivoltò, lo morse, ed entrambi caddero dall’alto. Mentre il nibbio
moriva, il serpente gli disse:
“Perché sei stato così folle da voler far del male a
me, che non ti facevo nulla? Ecco che hai avuto il giusto castigo per avermi
rapito”.
Chi fa il prepotente e oltraggia i deboli, se s’abbatte
in uno più forte di lui, quando men se l’aspetta, paga anche il male che ha
fatto prima.
Il
nibbio aveva un tempo una voce acuta, diversa da quella d’ora. Poi, avendo
udito un cavallo che emetteva dei magnifici nitriti, volle imitarlo; e,
ostinandosi in questo esercizio, a rifar bene il nitrito, non ci riuscì, ma perse la propria voce; così non ebbe né quella del cavallo
né quella che aveva avuto prima.
Gli
uomini mediocri che, mossi dall’invidia, cercano di imitare quello che è
alieno dalla loro natura, perdono anche le loro doti naturali.
Vedendo un toro tutto
imbaldanzito per le sue corna, al cammello invidioso venne voglia d’averle
anche lui. Presentatosi dunque a Zeus, cominciò a supplicarlo che gli
assegnasse un paio di corna. Ma Zeus si sdegnò con lui perché, non contento
della sua forza e della sua statura, voleva ancora qualche cosa d’altro. Così,
non solo non gli aggiunse le corna, ma gli mozzò anche la punta delle orecchie.
Questo capita a molti, che,
avidi, guardano con invidia gli altri e intanto, senza avvedersene, perdono
anche quello che hanno.
Un cammello, costretto dal suo padrone a ballare esclamò:
“Ma se sono goffo persino quando cammino, altro che quando ballo!”.
La
favola si può citare a proposito di qualsiasi atto di garbo.
Quando
gli uomini videro per la prima volta il cammello, si spaventarono e, atterriti
dalle sue dimensioni, si diedero alla fuga. Ma quando, col passar del tempo, si
resero conto
della sua mansuetudine, trovarono il coraggio di avvicinarglisi; poi, poco per
volta, accorgendosi che esso è un animale incapace di collera, giunsero a tal
punto di disprezzo che gli misero persino una
cavezza al collo e lo diedero da condurre a dei ragazzi.
La
favola mostra che l’abitudine rende tollerabili anche le cose spaventose.
In un’isoletta pascolava un toro, e del suo sterco vivevano due scarabei. Al
sopraggiungere della cattiva stagione, uno di essi annunciò all’altro che
intendeva volare sul continente; così lì ci sarebbe stato abbastanza da
mangiare per il compagno rimasto solo, mentre egli, trasferitosi laggiù, ci
avrebbe passato l’inverno. Aggiungeva poi che, se avesse trovato cibo in
abbondanza, ne avrebbe portato anche a lui. Passò dunque sul continente e,
trovatoci sterco a iosa, ma molto molle, vi si stabilì e cominciò a
mangiarselo. Passato l’inverno, rivolò di nuovo alla sua isola. Quando l’altro
lo vide così bello grasso e florido, lo rimproverò perché, dopo tante
promesse, non gli aveva portato nulla. “Non devi prendertela con me” , gli rispose il compagno, “ma con quel paese, che è fatto
così: da mangiare ce n’è; ma non si può portar via niente”.
Un granchio, uscito
fuori dal mare, se ne viveva solo soletto su una spiaggia. Lo scorse una volpe
affamata e, visto che non aveva proprio nulla da mangiare, gli saltò
addosso e lo afferrò. “Questa me la son proprio meritata”, esclamò
il granchio, mentre l’altra stava per ingoiarlo. Ero animale di mare e ho
voluto diventare animale di terra!”.
Così, anche tra gli uomini,
chi lascia le proprie faccende per immischiarsi di quel che non lo riguarda, è
naturale che vada a finire in mezzo ai guai.
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