IL
LEONE E L'ASINO CHE ANDAVANO A CACCIA
INSIEME
Fatta società, il leone e
l’asino uscirono insieme a caccia. Giunti dinanzi ad una caverna dove
c’erano delle capre selvatiche, il leone si fermò davanti all’entrata per
prenderle a mano a mano che uscivano, mentre l’asino entrava e, balzando in
mezzo ad esse, ragliava per spaventarle. Quando il leone le ebbe prese quasi
tutte, l’asino venne fuori e gli chiese se non si era mostrato un valoroso
guerriero nella cacciata delle capre. “Ma sai”, gli rispose il leone, “che
persino io avrei avuto paura di te, se non avessi saputo che eri un asino?”.
Così,
chi fa il fanfarone davanti a quelli che lo conoscono bene, si guadagna
giustamente le beffe.
Il leone, l’asino, e la volpe
fecero società fra loro e se ne andarono a caccia. Quand’ebbero fatto un buon
bottino, il leone invitò l’asino a dividerlo tra di loro. L’asino fece tre
parti uguali e invitò il leone a scegliere. La belva inferocita gli balzò
addosso, lo divorò e poi ordinò alla volpe di far lei le parti. Essa radunò
tutto in un mucchio, lasciando fuori per sé solo qualche piccolezza, e poi lo
invitò a scegliere. Il leone allora le chiese chi le aveva insegnato a fare le
parti così. “E’ stata la disgrazia dell’asino”, rispose la volpe.
La favola mostra che le
disgrazie del prossimo sono per gli uomini fonte di saggezza.
Un leone era infuriato. “Poveretti noi!”, disse un cervo, scorgendolo di tra le piante del bosco, “che
cosa mai non farà, ora che è su tutte le furie, costui, che noi non riuscivamo
a sopportare nemmeno quand’era in buona?”.
Teniamoci tutti lontani dagli uomini violenti e usi al male, quando essi
si impadroniscono del potere e signoreggiano sugli altri.
Mentre il leone dormiva, un topo gli fece una corsa su per il corpo.
Quello si destò e si girava da tutte le parti per cercare quel che gli era
venuto addosso. La volpe, a quella vista, prese a canzonarlo perché lui, che
era un leone, aveva paura di un topolino. “Non è che io abbia paura di un
topo”, rispose lui, “ma mi meraviglio che qualcuno abbia osato correre
addosso al leone mentre dormiva “.
La favola mostra che gli uomini assennati non trascurano nemmeno le
piccole cose.
I lupi, che facevano la posta a
un gregge di pecore, non riuscivano ad impadronirsene a causa dei cani che lo
sorvegliavano, e allora decisero di ricorrere all’astuzia per raggiungere il
loro scopo. Mandarono ambasciatori alle pecore, e chiesero la consegna dei cani,
affermando che erano essi i responsabili delle loro relazioni ostili. Una volta
che li avessero in mano, la pace avrebbe regnato tra di loro. Le pecore, senza
sospettare quel che le aspettava, consegnarono i cani; e i lupi, una volta
padroni di questi, sterminarono senza difficoltà il gregge rimasto indifeso.
Così
anche quegli Stati che consegnano senza difficoltà i loro capi,
senz’avvedersene sono tosto soggiogati dai nemici.
Un
lupo vide un agnello presso un torrente che beveva e
gli venne voglia di mangiarselo con qualche bel pretesto. Standosene
là a monte, cominciò quindi ad accusarlo di insudiciare l’acqua, così che
egli non poteva bere. L'agnello
gli fece notare che, per bere, esso sfiorava appena l’acqua col muso e che,
d’altra parte, stando a valle non
gli era possibile intorbidare la corrente a monte. Venutogli meno quel pretesto,
il lupo allora gli disse: "Ma
tu sei quello che l’anno scorso ha insultato mio padre." E l’agnello a
spiegargli che a quella data non era ancor venuto al mondo. "Bene"
concluse il lupo, "se tu sei così bravo a trovar delle scuse, io non posso
mica rinunziare a mangiarti.
La favola mostra che contro chi ha deciso di far un torto non c’è
giusta difesa che valga.
Un lupo inseguiva un agnellino, e questo andò a rifugiarsi in un
tempio. Il lupo cominciò a chiamarlo e ad avvertirlo che, se il sacerdote lo
coglieva là, lo avrebbe immolato al dio. “Meglio immolato a un dio”,
rispose l’agnello, “che sbranato da te!”.
La favola mostra che, se si deve morire, è meglio morire con onore.
Una
mosca, caduta in una pentola di carne, mentre stava per affogare nel brodo,
diceva tra sé: “Ebbene, io ho mangiato, ho bevuto, ho fatto il bagno; e se
muoio, pazienza!”.
La favola mostra che gli uomini si rassegnano facilmente alla morte,
quando essa sopraggiunge senza sofferenze.
In una dispensa s’era versato del miele. Le mosche, accorse, se lo
succhiavano, e la dolcezza era tale che non sapevano staccarsene. Quando però
le loro zampe vi rimasero impigliate e, incapaci di levarsi a volo, esse si
sentirono affogare, esclamarono: “Poverette noi! Per un attimo di dolcezza ci
rimettiamo la vita”.
Così la ghiottoneria è causa di numerosi guai per molte persone.
Un tempo, quella che oggi è la
formica era un uomo che attendeva all’agricoltura e, non contento del frutto
del proprio lavoro, guardava con invidia quello degli altri e continuava a
rubare il raccolto dei vicini. Sdegnato della sua avidità, Zeus lo trasformò
in quell’insetto che chiamiamo formica; ma esso, mutata natura, non mutò
costumi, perché anche oggi gira per i campi, raccoglie il grano e l’orzo
altrui e li mette in serbo per sé.
La favola mostra che chi è cattivo di natura, anche se è gravemente
punito, non muta costumi.
Nella stagione estiva la
formica s’aggirava per i campi, raccogliendo grano e orzo, e mettendolo in
serbo come sua provvista per l’inverno. Lo scarabeo l’osservava e faceva
gran meraviglie della sua eccezionale attività, perché essa s’affannava a
lavorare proprio nella stagione in gli altri animali hanno tregua dalle loro
fatiche e si danno alla bella vita. La formica non disse nulla, lì per lì; ma
più tardi, quando sopraggiunse l’inverno, e la pioggia lavò via tutto lo
sterco, lo scarabeo affamato andò da lei, scongiurandola di dargli un po’ da
mangiare: “Oh scarabeo “, gli rispose quella, “il cibo non ti mancherebbe
ora, se tu avessi lavorato allora, quando io m’affaccendavo e tu mi
canzonavi”.
Così
coloro che nel momento dell’abbondanza non pensano al futuro, quando i tempi
cambiano, debbono sopportare le più gravi sofferenze.
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