LA FORMICA E LA COLOMBA
Una
formica assetata era scesa in una fontana e, trascinata dalla corrente, stava
per affogare. Se n’avvide una colomba e, strappato un ramoscello da un albero,
lo gettò nell’acqua. La formica vi salì sopra e riuscì a salvarsi. Poco
dopo, un uccellatore, con i suoi panioni pronti, si avanzò per prendere la colomba. La formica lo scorse e diede un morso al
piede dell’uccellatore, che, nell’impeto del dolore, gettò via i panioni,
facendo così fuggire immediatamente la colomba.
La favola mostra che bisogna
ricambiare i benefattori.
Il topo cittadino da quel dei campi ch’era suo amico s’ebbe un invito
a pranzo, e tosto lieto partì per la campagna. Ma il pranzo era erba e grano.
“Vedi”, gli disse,
“che vita da formica meni, mio
caro! E io d’ogni ben di Dio piena ho la casa; tu vieni meco, ché ti darò di
tutto”. Verso la città trottan gli amici tosto. L’ospite ostenta legumi e
fichi secchi e cado e pane, datteri, miele e frutta. L’altro, stupito, di
cuore lo ringrazia, il triste suo destino maledicendo. Ma quando il pranzo
s’apprestano a gustare, capita un tale che l’uscio ti spalanca. I miseri al
rumore, con un sussulto, corron dentro le buche del pavimento. Ne escon poi
fuori, per via dei fichi secchi, ecco entra un altro, per non so
qual faccenda. Scorgendolo, i meschini dentro le buche, in cerca di salvezza,
balzan di nuovo. Il campagnolo allora, passando sopra all’appetito, sospira e
dice all’altro: “Amico, addio! Saziati pur ben bene, goditi il pranzo con
tutte le sue gioie, tutti i rischi e tutte quante le paure! Io meschinello,
campando a grano ed erbe, senza sospetto vivrò, senza timore”.
E’ meglio assai, dice la
favoletta, vivere in santa pace vita modesta, che far del lusso sempre fra i
batticuori.
Un
medico chiese al suo ammalato come stava, e quello gli rispose che aveva sudato
in modo anormale. “Molto bene”, disse il medico. Tornò una seconda volta a
chiedergli come stava, e quello rispose che era stato colto da un brivido che
l’aveva scosso da capo a piedi. “Molto bene anche questo”, disse il
medico. Quando andò a fargli la terza visita e gli chiese della sua malattia,
l’ammalato gli annunziò che aveva avuto un attacco di diarrea. “Bene,
bene anche questo”, dichiarò il medico, e se ne andò. Così, quando uno dei
suoi parenti venne a trovano e gli chiese come andava, l’ammalato rispose:
“A forza di andar bene sto morendo”.
Così molte volte gli uomini sono dal loro prossimo, con una valutazione
puramente esteriore, ritenuti felici per qualche fatto che nel loro intimo è
causa delle più vive sofferenze.
Due
amici viaggiavano insieme, quand’ecco apparire davanti ad essi un orso. Uno,
più svelto, salì su un albero e vi restò nascosto, mentre l’altro, che già stava per
esser
preso, si gettò al suolo, fingendo d’esser morto. L’orso gli avvicinò il
muso, annusandolo, ed egli tratteneva il respiro, perché, a quel che dicono,
l’orso non tocca
i cadaveri. Quando l’orso si fu allontanato, quello che era sull’albero
discese e chiese all’altro che cosa gli avesse detto nell’orecchio l’orso.
“Di non viaggiar mai
più
con dei compagni che nel pericolo non restano al tuo fianco”, gli rispose
quello.
La favola mostra che le disgrazie mettono alla prova la bontà degli
amici.
Alcuni
tali che viaggiavano per un certo affare, incontrarono un corvo cieco da un
occhio. Essi si volsero a guardarlo, e uno consigliò di tornare indietro, perché
tale era il significato del presagio. “Ma come potrebbe profetare il futuro a
noi quest’uccello, che non è stato nemmeno capace di prevedere la perdita
del suo occhio, in modo da evitarla?” disse un altro.
Così
anche tra gli uomini, chi non è in grado di dirigere i propri affari non merita
fiducia quando dà consigli al prossimo.
Un
asino si mise addosso la pelle di un leone e andava attorno seminando il terrore
fra tutte le bestie. Vide una volpe e volle provarsi a far paura anche a lei. Ma
quella, che per caso aveva già sentito la sua voce un’altra volta, gli disse:
“Sta’ pur sicuro che, se non ti avessi mai sentito ragliare,
avresti fatto paura anche a me”.
Così
ci sono degli ignoranti che, grazie alle loro false apparenze, sembrerebbero
persone importanti, se la smania di parlare non li tradisse.
L’asino decantava la sorte del cavallo, perché era nutrito senza economia e
fatto segno a tutte le cure, mentre esso non aveva nemmeno paglia a sufficienza
e doveva sopportare tante fatiche. Ma quando sonò l’ora della guerra, un soldato
in armi balzò sul cavallo, portandolo da una parte e dall’altra, e finalmente lo
lanciò nella mischia contro il nemico, dove la bestia cadde colpita a morte. A
questa vista l’asino cambiò parere, e compianse il cavallo.
La favola mostra che non bisogna
invidiare i potenti e i ricchi, ma star contenti della povertà, pensando
all’invidia e ai pericoli da cui essi sono circondati.
L’ASINO E
LE RANOCCHIE
Un
asino, con un carico di legna sul dorso, traversava un acquitrino. Scivolò,
cadde, e, non riuscendo a tirarsi mise a piangere e a lamentarsi. Quando le
ranocchie del luogo udirono i suoi lamenti, gli dissero: “Caro mio, tu
piagnucoli tanto per esser caduto qui pochi minuti: che cosa avresti mai fatto
se ci fossi rimasto tanto tempo come noi? “.
Di
questa favola potrebbe servirsi uno che affronta coraggiosamente i mali più
gravi, per rivolgersi a un debole che mal sopporta le più lievi fatiche.
Un
asino e un mulo avanzavano uno accanto all’altro. L’asino, osservando
che i loro due carichi erano eguali, era indignato e si lamentava, perché il
mulo, che pur era ritenuto degno di una doppia razione, non portava nulla più
di lui. Ma quando ebbero proceduto alquanto nella via, l’asinaio s’avvide
che l’asino non poteva reggere, e allora gli tolse una parte del carico,
aggiungendolo al mulo. Dopo che ebbero proseguito ancora un poco, vedendo che
l’asino era sempre più stanco, gli tolse di nuovo una parte del carico, e,
alla fine, prese tutto quanto e lo passò da lui al mulo. Allora questo diede
una sbirciatina all’asino: “Ehi, tu, non ti par giusto, ora, che mi faccian
l’onore di una doppia razione? “.
Anche
noi, per giudicare la condizione di ciascuno, non dobbiamo guardare come
comincia, ma come va a finire.
Un
tale che possedeva un cagnolo maltese e un asino, continuava a far moine al cane
e, se per caso andava fuori a pranzo, portava a casa qualche bocconcino per
gettarglielo,
quando la bestiola gli veniva incontro scodinzolando. Allora l’asino,
geloso, corse incontro al padrone e, a forza di saltellare, gli lasciò andare
un calcio. Adirato, il padrone ordinò di allontanarlo a randellate e di legarlo
alla greppia.
La favola mostra che non tutti sono nati per le stesse cose.
Un
asino e un cane che facevano strada insieme, trovarono per terra una lettera
chiusa. L’asino la raccolse, spezzò i suggelli, l’aperse e si mise a
leggerla al cane che ascoltava. Nella lettera si parlava di roba da mangiare,
voglio dire di fieno, di orzo, di paglia. Mentre l’asino leggeva tutte quelle
cose, il cane se ne stava lì annoiato , e poi gli disse: “Guarda un po’
più avanti, caro, che saltando tu non trovi anche qualche informazione che
riguardi carne o ossa”. L’asino scorse tutta la lettera ma non ci trovò
niente di quel che il cane cercava; e allora questo soggiunse: “Buttala pur
via, mio caro, non c’è niente di interessante”.
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