L’autore
dà inizio alla sua opera, esaltando le bellezze naturali, che riassume in una
splendida e meravigliosa visione, tramite uno stile, pacato e nitido, consono
alle sue capacità artistiche. Don Abbondio, parroco di uno dei tanti paesini che
costellano il territorio di Lecco, in una mite sera autunnale del 1628, proprio
in sul calar del sole, recitando il breviario, si dirige tranquillo
verso casa.
Sin d’ora il Manzoni ci fornisce i tratti salienti di questo personaggio, con
precisa analisi psicologica. Ce lo descrive — ed i
fatti ne sono incontestabile conferma — come persona poco amante di rischi e
di preoccupazioni, che, pur di evitarli, è capace di sottrarsi persino al suo
ministero sacerdotale. E’ privo di ardire; la paura, che inevitabilmente
affiora in lui in ogni istante, lo acceca e gli annulla ogni senso di giustizia
e di carità.
Mentre,
appunto, don Abbondio, ignaro di quanto gli succederà, si gode un magnifico
tramonto, giunto in prossimità di un bivio, intravede due persone armate e d’aspetto
minaccioso: sono due bravi.
Non
potendo trovare via di scampo, onde accorciare quei momenti di angoscia,
si dirige più speditamente verso di loro, sfoggiando persino un falso sorriso.
Quando si trova dinanzi a quei due, il cuore gli batte fortemente.
Tra
di loro si svolge un breve colloquio: il tono di don Abbondio è mite,
persuasivo; quello dei bravi è perentorio. Essi, portatori della volontà del
potente signor don Rodrigo, in sostanza, vietano a don Abbondio di celebrare il
matrimonio tra Renzo e Lucia. « Questo
matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai », dicono.
Don
Abbondio, preso da terrore, tenta di discutere, vorrebbe spiegare i propri
doveri; che non dipende da lui se due vogliono sposarsi, che egli non c’entra,
che è solo un servitore. Ma le minacce di morte e la fermezza sono tali, che il
curato, seppure non solennemente, deve promettere che non celebrerà il
matrimonio; solo allora i due si allontanano. E don Abbondio, destinato a
divenire uno dei personaggi più importanti del romanzo, perplesso e col cuore
palpitante, può proseguire il suo cammino verso casa.
Da
questo primo quadro è facile intuire come il curato sia incapace di lottare, di
far trionfare la giustizia e il diritto sulla prepotenza. Egli, onde non subire
conseguenze, non s ‘immischia mai nella lotta; ma anche in lontananza il
terrore lo pervade.
Bisogna
notare, però, che ai tempi di don Abbondio la legge non era osservata e che i
ricchi e i nobili esercitavano ogni forma di sopruso e di violenza sui deboli e
sugli inermi.
Per
questo don Abbondio che non è per di
più, né ricco, né nobile, ma « in
quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia
di molti vasi di ferro », perché fosse protetto, ubbidì alla volontà dei
suoi parenti di farsi prete.
Il
curato ha davanti agli occhi la visione spaventosa dei bravi, gli par di
sentire ad ogni istante le loro parolacce; sa pure che le minacce di quel
signorotto non sono vane. E se la piglia con Renzo e Lucia, « ragazzacci
che, per non saper che fare, s’innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad
altro ».
Potesse
dire a Renzo che è nell’impossibilità di celebrare il matrimonio! Ma costui
vorrà delle spiegazioni, che il curato non potrà dare.
Tutti
questi pensieri tempestano la sua mente, quando, finalmente, giunto a casa,
chiama con tono angosciato Perpetua. Quando Perpetua è al
cospetto del suo padrone, e vedendolo stravolto, ne chiede il motivo.
Don
Abbondio dapprima è reticente, ma poi, con il cuore in gola, le confida quanto
i bravi gli avevano ordinato, se vuole salva la vita. Egli svela questo segreto
alla sua domestica non solo per liberarsi in parte di un peso opprimente, ma
anche nella speranza di ottenere da lei una soluzione al caso.
Perpetua
per la verità, pur non essendo donna di eccelse virtù, ma dotata di quel
comune buon senso, gli propone una logica via d’uscita: dire tutto al
cardinale e invocare la sua protezione.
Ma
il curato, cui echeggia ancora la minaccia di morte, non accetta il consiglio,
perché il cardinale non può cancellare dalla mente di quei criminali
l’intenzione omicida; perché non può levargli « una
schioppettata nella schiena».
E
così don Abbondio, ancor più angosciato che sollevato, e pentito d’aver
parlato, si ritira nella sua camera, non senza avere esortato solennemente
Perpetua a non far parola della faccenda.
