La sommossa,
davanti alla casa del vicario, diventa sempre più furibonda. Si vuole la morte
del vicario; ed egli, col cuore martellante, cerca un sicuro nascondiglio, in
attesa dello sviluppo degli avvenimenti. In suo aiuto sono mandati dei soldati
comandati da un ufficiale, il quale, dinanzi a quella «accozzaglia
di gente », rimane indeciso; i suoi soldati stanno fermi; quella ciurma di
violenti pensa che essi abbiano paura. Frattanto un vecchio, dal passato non
pulito, agitando un martello, una corda e dei chiodi, manifesta l’intenzione
di «attaccare il vicario al battente
della sua porta, ammazzato che Josse ».
Questo capitolo è dedicato ai tumulti popolari e il Manzoni vuol mettere in evidenza
due fatti: la carica umana di Renzo, e il valore politico-morale del romanzo.
Renzo,
infatti, quando sente che si vuol uccidere il vicario, inorridisce e ha parole
di sdegno; ma ecco che la folla gli si fa contro; lo accusa di essere un
traditore, una spia del vicario, e vorrebbe linciarlo. Egli ammutolisce, ha
paura, ma alla fine riesce a dileguarsi.
Il romanzo ha
anche una tendenza politico-morale; non è infatti
difficile capire da queste pagine quanto pesi l’oppressione nemica, quale odio
si nutra verso gli oppressori e come sia sentita la libertà patria.
Nel
frattempo, mentre si assale la casa del vicario, ecco spuntare in carrozza
Ferrer, il gran cancelliere, l’uomo che aveva abbassato il prezzo del pane,
l’amico della povera gente. Qualche voce discorde dei più facinorosi, che
vorrebbero fare giustizia da sé, ma i più lo applaudono.
Ancora una
volta l’autore, nel descrivere la figura del Ferrer, ci fornisce un saggio
della sua maestria stilistica.
Egli dunque, senza
protezione alcuna, forse consapevole d’esserne l’occasione, cerca di trarre
il vicario da quella situazione incresciosa. Al suo passaggio il popolo, questo «
miscuglio accidentale d’uomini », pronto ad acclamare o a detestare,
grida: « In prigione il vicario! Viva Ferrer! Largo a Ferrer! ».
Anche Renzo,
e questa volta non per semplice curiosità, si immischia nella folla, per
facilitare il passaggio al gran cancelliere.
Per la
circostanza il Ferrer mostra un aspetto amorevole. Cerca di parlare, ma le
acclamazioni glielo impediscono. Quando gli è possibile ripete: «
pane, abbondanza, vengo a far giustizia ».
La carrozza
del cancelliere andava a passo d’uomo, e spesso doveva fermarsi, perché la
folla vi si ammassava intorno. Allora il vecchio Ferrer, con gesti dignitosi e
con modi aristocratici, sorrideva e gesticolava. Il tratto da percorrere non era
molto; ma, in quanto al tempo impiegato, sembrava un viaggio.
Finalmente,
con l’aiuto dei più volenterosi, e tra questi uno dei più attivi è Renzo, a
cui il cancelliere offre qualche sorriso di compiacenza, la carrozza giunge
dinanzi alla casa del vicario. Questi, con sollievo del gran cancelliere, è
salvo, anche se per la paura è « bianco come un panno lavato ».
Il Ferrer lo prende sotto la sua protezione; lo fa salire sulla carrozza,
mentre la folla manda « un urlo di
applausi e di imprecazioni ». Durante il viaggio il vicario resta
rannicchiato in un angolo, mentre il cancelliere ringrazia il popolo che fa ala
e promette ancora che farà giustizia.
Ormai
sono al sicuro da ogni pericolo; il vicario è grato al gran cancelliere per il
salvamento e aggiunge che darà le dimissioni. Di lui non si avranno più
notizie.