L’innominato,
viene informato da un bravo che tutta quella gente, così
festosa, va verso un paese vicino, per vedere il cardinale Federigo Borromeo,
arcivescovo di Milano.
La
popolarità, il rispetto e la venerazione che il popolo dimostra verso il
cardinale, fa nascere nell’innominato la speranza, parlandogli «
a quattr’occhi » che egli possa curare il suo spirito tanto in crisi,
che possa pronunciare parole rasserenatrici.
Presa,
quindi, la decisione di parlare con il cardinale, si reca prima nella camera di
Lucia, che intanto sta dormendo in un cantuccio; rimprovera la vecchia, per non
aver saputo convincere Lucia a dormire sul letto, le raccomanda di lasciarla
riposare in pace, e di riferirle, quando si sarà svegliata «
che il padrone è partito per poco tempo, che tornerà e che... farò tutto
quello che lei vorrà. ». E’ superfluo dire che la donna resta sbalordita
per lo strano e insolito comportamento del suo padrone, che intanto mette di
guardia un bravo, davanti alla porta della camera di Lucia, perché nessuno la
disturbi; quindi, risoluto, si dirige verso il paese, dove si trova il
cardinale; e giuntovi, avuta indicazione che egli si trova in casa del curato,
va là, entra in un cortiletto, dove sono riuniti molti preti che lo guardano
con aria di meraviglia e di sospetto, e chiede di voler parlare al cardinale.
Prima
che si svolga il colloquio tra l’innominato e l’arcivescovo, l’autore
traccia un profilo di Federigo Borromeo; la descrizione, fatta con calore in
tutta la sua splendida grandezza, risulta veramente efficace.
Ancora
giovinetto, manifestata la vocazione di dedicarsi al ministero ecclesiastico,
oltre a dedicarsi alle occupazioni prescritte, decide di sua spontanea volontà
« di insegnare la dottrina cristiana ai più rozzi e derelitti del popolo, e di
visitare, servire, consolare e soccorrere gl’in fermi ».
Quantunque
discenda da nobile famiglia, tutto il suo comportamento è improntato alla più
servile umiltà; teme le dignità, anzi cerca di evitarle, non per sottrarsi
al servizio altrui, ma perché non si stima «
abbastanza degno, né capace di così alto e
pericoloso servizio». Poco più
che trentenne, infatti, ricusa l’arcivescovado di Milano, successivamente
costretto ad accettare su ordine del papa. Riduce al minimo le sue esigenze, ed
offre tutto ai poveri; per lui, infatti, «
le rendite ecclesiastiche sono patrimonio dei poveri». E’ merito suo la
fondazione della biblioteca ambrosiana. Ma quel che più spicca in lui è la
bontà, la giovialità, la cortesia verso gli umili.
Quanto
scrive il Manzoni, per magnificare questo uomo di virtù predare, non è un
parto di fantasia, ma realtà evidente, tanto è vero che riuscirà a
convertire, come per grazia divina, chi si era macchiato di tanti infami
crimini: l’innominato.