Già Renzo è
ubriaco fradicio, quando l’oste lo invita a mettersi a letto. Si regge
malamente all’impiedi, e se non ci fosse stato il suo aiuto, da solo non
sarebbe riuscito a salire al piano superiore. Tra Renzo, che vaneggia, e
l’oste c’è uno scambio vivace di battute; poi, prima ancora che sia
sopraffatto dal sonno, l’oste sottrae dalle tasche del suo cliente l’importo
che onestamente gli spetta, senza approfittare della rimanente somma, cosa che
non avrebbe fatto un uomo senza scrupoli.
In fondo
l’oste non è perfido; di Renzo, poi, ha un buon concetto. Se è costretto a
denunciarlo è perché è venuto alla sua osteria in compagnia di uno sbirro; se
fosse venuto solo, avrebbe chiuso un occhio.
L’oste,
così ben descritto dal Manzoni, pur occupando breve spazio nel romanzo, è un
uomo di consumata esperienza. Alla moglie, che in sua assenza deve sostituirlo
nell’osteria, fa un quadro con chiarezza scultorea degli avventori; e
raccomanda prudenza, poiché quei clienti scapestrati, ne dicono di tutti i
colori.
Quando
l’oste si trova dinanzi al notaio criminale, rende un’esatta e onesta
deposizione; non accumula accuse contro Renzo, anzi tenta di scagionarlo fin
dove è possibile. Infatti, quando il notaio chiede se il suo avventore stia
preparando altri tumulti per domani, egli non esita a dire che è andato a
letto.
Il giorno
dopo, di buon mattino, il povero Renzo è svegliato di soprassalto. Nella sua
stanza vi sono due sbirri e il notaio per arrestano. Sorpreso d’esser chiamato
per nome, poiché non ricorda d’averlo svelato, si svolge una schermaglia tra
lui e il notaio. Quando a Renzo viene riferito che devono portarlo via, si oppone;
gli sbirri, allora, vorrebbero usare la forza, ma il notaio fa cenno di aver
pazienza, vuole condurre via Renzo «
d’amore e d’accordo». Egli infatti aveva notato per le strade un certo
movimento e ciò lo preoccupava.
Quando sono
in cammino, il notaio, come a volersi accattivare la simpatia, ordina ai due
sbirri di non far male a Renzo, al quale consiglia di essere prudente, di non
girar la testa di qua e di là, di andare, insomma, «
raccolto e quieto ». Vedrete, continuava a dirgli il notaio: «
di qui a un’ora voi siete in libertà: c’è tanto da fare che avranno fretta
anche loro di sbrigarvi: e poi parlerò io ».
Naturalmente
Renzo non crede all’aiuto che con tanta generosità dice di offrirgli il
notaio; capisce benissimo che il suo interlocutore teme che per istrada si
presenti «qualche buona occasione per
scappargli di mano ».
D’altra
parte non bisogna credere che il notaio fosse una persona incapace o inesperta;
egli è « un furbo matricolato »;
è solamente preoccupato per certi movimenti che ha visto e non desidera
imbattersi in qualche crocchio di tumultuosi; sarebbe per lui una figura
meschina.
Ma Renzo,
rammentandosi dell’appuntamento fissato il giorno innanzi sulla piazza del
duomo, spera in cuor suo di incontrare qualcuno dei suoi compagni; e si muove,
si agita, guarda a destra e a manca, e il notaio alle spalle a sussurrargli: «
Giudizio, giudizio! ». Ma Renzo, nel vedere tre persone inferocite che parlano
di farina nascosta e di giustizia, incomincia a far loro dei cenni ed a tossire
in modo non naturale. In poco tempo un gruppo di persone è a ridosso di Renzo e
degli sbirri. E il notaio di dietro continua a sussurrare: « Badate a voi; giudizio, figliolo; peggio per voi, vedete, non
guastate i fatti nostri; l’onore, la riputazione ».
Intanto gli
sbirri, che avevano messo ai polsi di Renzo i manichini (specie di manette),
pensando di far bene, danno una stretta che gli fa emettere un grido di dolore.
A quel grido accorre altra gente, circonda la «
comitiva », e vuol sapere cosa sia accaduto; e il notaio — le cui
previsioni si sono avverate —bisbiglia che è un malvivente, un ladro colto
sul fatto. (Ecco l’aiuto promesso). Ma Renzo, intuito che quello è il momento
giusto, per essere liberato, incomincia a gridare: «
figlioli! mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non
ho fatto nulla; son galantuomo. Aiutatemi, non m’abbandonate, figlioli! ».
Gli
sbirri, all’incalzare della folla, incominciano a svignarsela. Anche il povero
notaio, pallido e sbigottito, cerca di far la stessa cosa, e studia «
tutte le maniere di comparire un estraneo ». Finalmente anche lui riesce
nel suo intento.
