Concluso
il caso del vicario, la gente comincia a sgombrare il luogo, e mentre si avvia
verso casa, forma dei crocchi. C’è chi loda il Ferrer e pronostica «
guai seri per il vicario »; chi mormora che «
il lupo non mangia il lupo ».
Ormai
è sera, Renzo abbandona l’idea di cercare padre Bonaventura al convento;
camminando guarda se vi è un’osteria, qualche luogo, ove si possa mangiare e
dormire, ma s’imbatte in un crocchio: «
discorrevan di congetture, di disegni, per il giorno dopo ». Anche Renzo,
questo povero onesto montanaro, vuoi parlare, e cade nelle insidie di una città
travagliata da tanti problemi.
E’
necessario innanzi tutto ribadire che Renzo, nel vedere il Ferrer cordiale,
umano, spoglio di qualunque parvenza di superbia, prova per lui sentimenti di
ammirazione, e lo reputa un protettore della gente povera e abbandonata, capace
di risolvere tutti i problemi che riguardano il popolo. Con questi sentimenti e
sospinto dalla sua passione, non esita ad attirare l’attenzione su di sé,
pronunziando un discorso in difesa dei poveri.
Egli mette in
luce i soprusi e le ingiustizie che si commettono ai danni del popolo, e, per
porvi rimedio, propone che « bisogna andare avanti così! ». (Si riferisce ai tumulti della
giornata).
Qualcuno
critica il suo discorso, ma la moltitudine applaude, e ci si concorda di
rivedersi l’indomani sulla piazza del duomo.
Tra la folla,
ad ascoltare il discorso di Renzo, vi era un giovane, uno sbirro camuffato, il
quale, apparentemente si dimostrava lieto di prestare i suoi servigi —
indicargli un’osteria — ma il suo vero scopo è quello di condurlo in
gattabuia. E Renzo, ingenuo ed onesto, si sarebbe prestato al gioco, se la stanchezza
e la fame — provvidenziali in quel caso — non l’avessero costretto a
fermarsi alla prima osteria, rifiutando l’invito dello sbirro di proseguire.
Malgrado ciò,
la sua posizione si aggrava, in quanto ha già confidato allo spione, che sotto
il suo aspetto gentile e premuroso nasconde tanta malvagità, di provenire dal
territorio di Lecco. Le sue imprudenze tuttavia non cessano: quando l’oste
serve lo stufato, dice che, a causa dei disordini, quel giorno non ha pane; ma
Renzo, candidamente, senza badare alle conseguenze, estrae un pane, che aveva
raccolto in mattinata, e dichiara di averlo avuto «
gratis et amore », dichiarazione quanto mai compromettente, in quanto
significa che quel pane era stato rubato.
Intanto
mangia di buon appetito e beve oltre misura, tanto che, in balia ai fumi
dell’alcool, e in spregio alle leggi, rifiuta di dichiarare al locandiere le
sue generalità e il motivo per cui si trova in quella città.
Ma a cavare
di bocca a Renzo il suo nome, se è celibe o sposato con prole, pensa lo sbirro
con un raffinato stratagemma. Ed è un vero miracolo se ubriaco com’è —
cosa insolita per lui — non pronunzia altri nomi compromettenti.
A questo
punto la spia se ne va e all’oste non resta che denunciare il povero Renzo,
la cui posizione diviene pericolosa.