Il giorno
stesso in cui Renzo arriva a Bergamo, giunge un dispaccio al podestà di Lecco, «contenente un ordine di fare ogni
possibile e più opportuna inquisizione », per scoprire se un certo Lorenzo
Tramaglino, sfuggito alle forze della giustizia, sia tornato al suo paese, di
cui non si conosce il nome, ma si è certi di trovarsi in territorio di Lecco,
ed in tal caso, catturarlo, legarlo ben bene, condurlo in prigione e tenerlo lì
« sotto buona custodia », e
consegnarlo a chi sarà incaricato di prenderlo.
L’autorità
vuole, quindi, un capro espiatorio per i fatti di Milano, e Renzo si addice più
di ogni altro.
Il podestà,
dunque, accompagnato dal notaio e da una combriccola di sbirri, giunge al paese
di Renzo, trova la sua casa chiusa; sfonda l’uscio, e una volta dentro, mette
tutto a soqquadro, « come in una città
presa d’assalto ».
A poco a poco
in paese si sparge la voce che Renzo è scappato dalle mani della giustizia, che
ne ha combinate delle grosse. Ma quanto più gravi sono le accuse che si muovono
a Renzo, tanto meno si crede ad esse, in quanto «
Renzo è conosciuto per bravo giovine »; e si sussurra che sono insidie
ordite da don Rodrigo, « per rovinare il suo povero rivale ». Ma questa volta don Rodrigo
è estraneo, e il Manzoni, con sottile ironia, conclude che « si fa alle volte gran torto anche ai birbanti ».
Tuttavia don
Rodrigo gode delle disavventure di Renzo, e con lui anche il conte Attilio, il
quale, cessati i tumulti, parte per Milano, con l’intenzione di giocare un
tiro mancino a padre Cristoforo, colpevole, secondo lui, del fallimento del
rapimento di Lucia.
La partenza
del conte Attilio coincide con il ritorno del Griso da Monza, il quale riferisce
al suo padrone che Lucia è ricoverata in un monastero, sotto la protezione di
una contessa. Questa notizia mette «il
diavolo addosso a don Rodrigo », il quale, per non compromettere il suo
prestigio e la sua autorità, è deciso a portare a compimento la sua sporca
impresa. Don Rodrigo sa che espugnare un convento è cosa quanto mai ardua,
specie se Lucia è protetta da una principessa; tuttavia progetta un piano, sia
pure rischioso, da attuarsi con l’intervento di un potentissimo signore.
Ma intanto,
mentre è travagliato da tale tormento, due nuove riescono in certo modo a
placano: il trasferimento di padre Cristoforo da Pescarenico, e il ritorno di
Agnese a casa sua.
Quando Lucia
per mezzo della fattoressa apprende che Renzo è sfuggito miracolosamente
all’impiccagione e che è ricercato, è sul punto di svenire. Ella, tribolando
per la sorte del suo povero Renzo, vorrebbe avere notizie più dettagliate;
vorrebbe sapere dove si trovi e cosa faccia. Per sua tranquillità, finalmente,
un uomo, su incarico di padre Cristoforo, riferisce che Renzo ha trovato
ricovero in territorio bergamasco; altro non sa dire, e assicura che da lì a
qualche giorno il frate invierà notizie più esaurienti. Ma, poiché le notizie
tardavano a venire, Agnese decide di tornare al suo paese, onde conoscere la
situazione di Renzo. Passa, prima di giungere al paese, dal convento, e qui
apprende, con suo sgomento che padre Cristoforo è stato trasferito a Rimini.
Il
trasferimento del frate, da Pescarenico a Rimini, è stata opera del conte zio
del gran Consiglio, su esortazione del conte Attilio che con arguzia satanica ha
saputo stuzzicare la sua boria nobiliare.
Il
conte zio è un comune parente di don Rodrigo e del conte Attilio; di lui viene
fatto un quadro chiaro e ricco di satira; è descritto come un uomo senza
cervello, che ha raggiunto una considerevole autorità, non per meriti
personali, ma in virtù del suo casato.
Il
conte Attilio, intanto, mantenendo un contegno di rispetto e di ossequio, in
questo caso interessato, verso un parente più anziano e più autorevole,
racconta, distorcendo la verità, che un frate insolente, un certo fra
Cristoforo, per via di una donna, mette in pericolo il decoro e l’onore del
casato. Il conte zio all’inizio non prende sul serio il discorso del conte
Attilio; ma quando questi, con malizia camuffata, fa presente che quel frate va
dicendo che « ci trova più gusto farla
vedere a Rodrigo, appunto perché questo ha un protettore naturale, di tanta
autorità come vossignoria; e che lui se la ride dei grandi e dei politici », il
conte zio non esita ad erigersi a strenuo difensore di don Rodrigo. Egli reputa
il contegno del frate offensivo all’onore e al prestigio del suo casato, perciò
penserà lui a colpirlo come si deve; e si lamenta, con boria da nobilone, che
loro due (il conte Attilio e don Rodrigo), gli procurano più fastidio che «
tutti questi benedetti affari di stato».
