Don
Abbondio tace e nulla sa ribattere agli argomenti del cardinale, così pieni di
realtà divina e di fervore; egli ha scolpite in mente, ed in modo
incancellabile, le minacce di don Rodrigo; il prelato allora, interpretando il
silenzio di don Abbondio come una colpa evidente, non esita a dirgli che ha
ubbidito alla iniquità, senza badare a ciò che il dovere prescrive, che se la
paura gli ha impedito di fare quanto era suo dovere, poteva almeno avvertire il
suo superiore. E mentre prosegue dicendo che « l’iniquità
non sempre si fonda sulle sue forze, ma anche sulla credulità e sullo spavento
altrui,» a don Abbondio viene in mente Perpetua, di cui non ha accettato il
consiglio di riferire l’incontro con i bravi al cardinale. Intanto il
cardinale accusa don Abbondio di essere colpevole del traviamento di Renzo e
delle tribolazioni di Lucia; il curato allora, pur non riuscendo a scacciare la
paura, promette che se si presenterà qualche altra occasione, non verrà meno
al suo ministero.
Il
giorno seguente, come stabilito, Lucia è costretta per la seconda volta
abbandonare il paese con tanta amarezza e rifugiarsi in casa di donna Prassede.
L’innominato frattanto, tramite il cardinale, fa pervenire alla madre di Lucia
cento scudi d’oro, «per servir di dote
alla giovine, o per quell’uso che ad esse sarebbe parso migliore;» e
comunica anche che per qualunque servizio per lui sarebbe una fortuna mettersi a
loro disposizione.
All’alba
del giorno seguente Agnese, mantenendo la promessa, si avvia verso la villa di
donna Prassede, a visitar la figlia. Quando le due donne sono sole, Agnese
informa a figlia del gesto generoso dell’innominato e dei suoi progetti, ora
che hanno tanto denaro. Speriamo — dice la madre — che non sia successo
nulla a Renzo, che ho «sempre riguardato
come un mio figliolo» e quando avrà dato notizie, « ti
vengo a prendere io a Milano. ». Ma vedendo che la figlia l’ascolta con
freddezza, con una « tenerezza senz’allegria,» e che è accorata, ne chiede il motivo.
Allora Lucia, alle domande pressanti della madre, pentita di non averla
informata prima, risponde che non può divenire più moglie di Renzo, e, « col
petto ansante » rivela il voto, descrivendo quella notte infernale, in cui
si è decisa di pronunciarlo. La madre si amareggia, ma non si arrabbia,
parendole «che sarebbe un prendersela col cielo. ». Madre e figlia parlano
anche di Renzo, solo e lontano, e pensano alle sue sofferenze. Ma a Lucia
interessa soltanto che egli sia salvo, per il resto non deve « pensar
più a quel poverino, » anzi vuole che gli si invii una lettera, ma che la
scriva una persona prudente e fidata, (il cugino Alessio) e lo informi che ha
fatto voto « e che metta il cuore in pace,» e in pari tempo propone alla madre,
che accetta liberamente e senza difficoltà, poiché a Renzo « hanno troncato il suo avviamento, gli hanno portano via la sua roba,quei
risparmi che aveva fatti » di mandargli metà della somma avuta
dall’innominato. Lucia ringrazia la madre, per aver esaudito il suo desiderio,
e con affetto profondo e sincero, le confida che ella sarà felice quando potrà
viver accanto
a lei. Con queste attestazioni di reciproco affetto le due donne si separarono.
E’
passato gran tempo, e malgrado si fosse interessato segretamente anche il
cardinale, di Renzo non si sa nulla di preciso; corrono delle voci, ma non hanno
alcun fondamento di verità.
Lo
stesso governatore di Milano, don Gonzalo Fernandez aveva protestato col
residente di Venezia, per avere accolto un «
ladrone pubblico » Lorenzo Tramaglino, nel territorio bergamasco. Tutto questo
fracasso intorno al nome di Renzo indusse Bortolo a trasferire il cugino in un
altro filatoio, presentandolo col nome di Antonio Rivolta.
