In
questo capitolo innanzi tutto il Manzoni si preoccupa di tracciare un quadro
storico della Milano di quei tempi per
dimostrare principalmente come quel governatore, don Gonzalo, nel susseguirsi di
avvenimenti piuttosto complicati: la guerra per la successione ai ducati di
Mantova e del Monferrato e i disordini popolari, non abbia altra preoccupazione
se non quella di non ledere la sua vanità e il suo prestigio.
E
l’indifferenza, l’incuria, la mancanza d’interessamento, per risolvere i
problemi della gente che soffre, non sono solo di don Gonzalo, ma anche dei
diplomatici e degli uomini politici. Le proteste di don Gonzalo presso le
autorità di Venezia, che hanno ospitato Renzo, hanno un solo scopo: non
denigrare il suo prestigio in un momento così critico per lui. Ma quando le
acque si sono placate e tutto è ritornato alla normalità, il governatore non
ci pensa più. Renzo, però, ignaro di tutto ciò, è costretto a vivere
nascosto, e ciò rende più difficile far pervenire sue notizie alle donne,
tanto più che non sa né scrivere né leggere, e perciò costretto a procurarsi
una persona di fiducia, a cui confidare i suoi segreti, cosa quanto mai
difficile.
«Finalmente,
cerca e ricerca,» Renzo trova la persona che scrive per lui; e quando
Agnese riceve la prima lettera, poiché anche lei, come Renzo, non sa né
leggere né scrivere, corre dal cugino Alessio e se la fa leggere e spiegare:
concerta con lui la risposta e si avvia così « un
carteggio né rapido né regolare, ma pure, a balzi e ad intervalli, continuato».
Nel
ricevere la prima lettera con i cinquanta scudi, Renzo rimane perplesso, non sa
capacitarsi; e quando dal suo lettore apprende la ragione di quel denaro, anche
se con poca chiarezza, e poi, per via di perifrasi, viene a parlar del voto,
manca poco che non se la prenda col suo segretario, « e
in quella febbre di passioni, » Renzo fa scrivere che lui non vuoi mettere
il cuore in pace, e non lo metterà mai, e che i denari li terrà in deposito «
per la dote della giovine » per metter su casa.
Allorché
Lucia apprende dalla madre che Renzo è vivo e salvo, sente un gran sollievo, ma
non desidera altro; ella lavora assiduamente per dimenticarlo, ma l’immagine
di Renzo si presenta alla sua mente di nascosto, furtivamente, di modo che se ne
avvede dopo qualche tempo, quando ha preso consistenza. E’ evidente che Lucia
vuole scacciare dalla sua mente l’uomo che teneramente ha amato, ma costui le
appare da ogni parte, sia pensando al passato che all’avvenire. E’ un dramma
intimo quello di Lucia veramente commovente; una lotta disperata; e forse
sarebbe riuscita a dimenticano; ma donna Prassede, impegnata per certe sue idee, a cancellarlo dalla sua mente parla spesso e male di Renzo, un
rompicollo, un birbante, un ladro. E allora Lucia, sapendo quanto siano false le
affermazioni della sua protettrice, per opposizione, sente per lui un’infinita
tenerezza.
Donna
Prassede esercita la sua autorità anche sulle cinque figlie (tre monache e due
sposate) e sulla servitù, ma non sul marito, don Ferrante, uomo di studio che
non gradisce « né di comandare né di ubbidire». Costui trascorre lunghe ed
inutili ore nel suo studio, sprofondato nella poltrona. Egli si interessa di
filosofia antica e naturale, di stregoneria e magia, ma predilige la scienza
cavalleresca e l’astrologia, scienze quanto mai inutili. Egli si è ingombrato
il cervello di tante stupide cognizioni che quando ne parla è veramente
ridicolo.
