Renzo
s’inoltra nel lazzaretto, fitto di una fiumana ondeggiante di languenti o di
cumuli di cadaveri, ed è molto commosso e sbigottito a quella vista. Cammina
senza meta, di qua e di là, nella speranza di trovare viva la sua povera Lucia.
Vi è
un’afa insopportabile; non un alito di vento, ma aria pesante, resa ancora più
opprimente da una densa nebbia. La gente soffre, e i malati peggiorano
precipitosamente, e la loro ultima lotta è più penosa.
Renzo aveva
girato un bel poco in cerca di Lucia, quando vede qualcosa che gl’infonde
tanta tenerezza e commozione. In un piccolo campo appartato, giacenti su
materassini, lenzuola, od altro, vi sono bambinelli allattati da balie e da
capre, che stanno dritte e ferme, per dare la poppa a questo o a quel
bambinello. Renzo più volte si stacca da quella visione, e più volte vi
ritorna, per guardare quelle creature con tutta la dolcezza che meritano.
Allontanatosi
definitivamente, un’apparizione repentina gli ferisce lo sguardo e lo
sconvolge: è padre Cristoforo! Questi era rimasto sempre a Rimini; chiese ed
ottenne di essere trasferito a Milano, quando scoppiò la peste, felice « di
dar la sua vita per il prossimo ».
Renzo è
felice di quell’incontro, ma non del tutto, perché padre Cristoforo ha «
il portamento curvo e stentato; il viso scarno e morto; ...una natura esausta »
si aiuta e si sorregge « con uno sforzo
dell’animo».
L’incontro
fra i due è molto affettuoso. Renzo racconta con tutta lealtà le sue
peripezie; afferma con calore che mai ha fatto nulla di male; che si è
comportato sempre da cristiano. Padre Cristoforo crede nella sua innocenza; ma
di Lucia non sa dirgli nulla; però indica il modo come rintracciarla, se ancora
è viva; indica, cioè, malgrado sia vietato, la zona assegnata alle donne. Gli
raccomanda di cercarla con fiducia e insieme con rassegnazione, perché al
lazzaretto il popolo si rinnova sempre. Che vada perciò, «preparato
a fare un sacrificio... ».
Anche Renzo
è combattuto dal dubbio se Lucia è viva o morta; ma il suo animo è avvelenato
dall’odio; dal desiderio di vendetta. Perciò, con leggerezza, dice al frate
che se non trova Lucia, troverà quel furfante a Milano, nel suo palazzo, « o
anche a casa del diavolo», e farà
giustizia.
A queste
parole di odio e di violenza, al frate ritorna l’antico vigore e l’aspetto
solenne d’un tempo! dagli occhi si sprigionano fiammate e « un
non so che di terribile». Prende per un braccio Renzo, lo invita a guardare
tutt’intorno, a vedere Chi giudica senza essere giudicato; Chi flagella e
perdona; e poi, deluso del manifesto comportamento di Renzo, lo allontana,
dicendo di non aver più tempo per dargli retta, e si avvia verso una capanna
d’infermi.
Ma Renzo lo
insegue e lo raggiunge; si pente e si addolora sinceramente per quelle parole di
odio e di vendetta. Padre Cristoforo, diventa più mansueto; Io ascolta, e poi
gli parla d’aver visto tante persone offese che perdonavano; di persone che
avevano recato offese e che soffrivano perché non potevano umiliarsi al
cospetto dell’offeso. Con parole sublimi fa capire a Renzo che perdonare è un
dovere, una necessità.
Le parole
solenni del frate hanno scosso e commosso il giovane, che si rende
conto d’aver « parlato da bestia e non
da cristiano; » ed ora, illuminato dalla grazia del Signore, è pronto a
perdonare don Rodrigo.
Padre
Cristoforo conduce, quindi, Renzo davanti a don Rodrigo, ricoverato da quattro
giorni al lazzaretto in fin di vita, e dice che forse la salvezza di
quest’uomo, che gli ha recato tanto male, dipende da lui, da un suo sentimento
di perdono, di compassione e d’amore. Rivolto quest’invito, il frate prega
per don Rodrigo e lo stesso fa Renzo.
Dopo un poco
che sono assorti nella preghiera, al suono di una campana si muovono e nel
separarsi, padre Cristoforo raccomanda a Renzo di andare a cercare Lucia « preparato,
sia a ricevere una grazia, sia a fare un sacrificio.
