Renzo, come gli era stato suggerito da padre Cristoforo, si avvia verso la
cappella, e giuntovi, resta in coda all’uditorio, donde può vedere «
quasi un selciato di teste,» di cui molte coperte di fazzoletti o veli, ma
non potendosi scoprire nulla, rimane «
tocco e compunto dalla venerabil figura del predicatore»,
padre Felice.
Il suo discorso è tutto un fervore di carità verso Dio e verso il prossimo. Egli
ricorda con parole sublimi che la vita è un dono del Signore e che quindi è
giusto che si impieghi per opere buone; che i forti aiutino, dunque, i deboli!
che i giovani aiutino i vecchi! E’ una carità questa che attenua i peccati e
lenisce i dolori.
Padre Felice, che nel lazzaretto ha speso tutte le sue energie per il bene degli
infermi, è preoccupato di non aver compiuto pienamente il suo dovere; di essere
stato pigro; di essersi mostrato qualche volta impaziente o annoiato o severo; e
per questo, con molta umiltà, chiede perdono agli ammalati che lo ascoltano.
Padre Felice non pronuncia parole che non esprimano amore, che non contengano un
calore divino; egli chiama « privilegio
quello di servir gli appestati». Poi, prende una gran croce, e, alla testa
degli ammalati, guida la processione.
Renzo, ancora commosso per le belle parole pronunziate da padre Felice, si
mette in un canto di una capanna, e con fiducia ispeziona una ad una,
attentamente, le donne, dal cui viso traspare pallore e languidezza, «
cose da occupar tutto di compassione l’animo di chiunque». La processione si
muove lentamente, ma dalla prima all’ultima fila sono per Renzo visi
sconosciuti.
Perduta la speranza di trovare Lucia in mezzo alle persone guarite, ne resta una
molto più tenue, ma alla quale Renzo si attacca «
con tutte le forze dell’animo; » e si inginocchia e prega Dio, ma più che
una preghiera è « una confusione di parole arruffate, di frasi interrotte, d’esclamazioni,
d’istanze, di lamenti, di promesse».
Un po’ rincuorato, si alza e, attraverso uno steccato interrotto, penetra nel
quartiere delle donne; guarda in ogni direzione: nessuna traccia di Lucia, ma
spettacoli di miseria e di dolore.
Giunto « in
un piccolo spazio fra due capanne, »senza che minimamente se
l’aspettasse, improvvisamente sente una voce che gli pare di Lucia; ascolta più
attentamente: sì, è la sua voce!
Renzo per
poco non sviene, ma si riprende subito, gira la capanna, vi entra, ed ecco
apparirgli Lucia su di un lettuccio. Si pensi adesso allo stato d’animo dei
due giovani; ai sentimenti contrastanti: lei sconvolta e tremante; gentile, ma
fredda e distaccata; lui, felice ed impetuoso, che sente rinascere in sé la
fiducia di una vita serena e piena d’amore; lei che cerca di allontanarlo: « andate,
andate, per amor del cielo! ». E parla del voto, della promessa alla
Madonna. Lui che è ostinato, che non si arrende, che replica, dicendo che la
Madonna « non vuole promesse in danno del
prossimo; » e scruta nel suo cuore, un cuore da innamorato, e trova
argomenti appassionati e convincenti. E Lucia si dibatte, resiste, si difende,
anche se la sua difesa sarà destinata a crollare.
Poi parlano
di padre Cristoforo. Lucia non ne sa più nulla. Renzo riferisce che le
condizioni di salute del frate sono alquanto precarie; egli dovrebbe essere
assistito, e invece assiste gli altri; spende le sue ultime energie per il bene
del prossimo. Anche Lucia ha parole di affetto e di pietà per padre Cristoforo.
Ella si
commuove e si turba quando Renzo le riferisce che lui con il frate è andato a
visitare don Rodrigo, ricoverato nel lazzaretto in fin di vita, e che ha pregato
per costui, come se si trattasse di un suo fratello. Anche Lucia pregherà per
lui, e gli perdonerà il male arrecatole.
Renzo
non desiste, non lascia occasione per indurre Lucia a divenire sua moglie, e
parla delle sue sofferenze, della sua vita raminga, dei suoi rischi. Ora va da
padre Cristoforo e lo condurrà da Lucia; penserà lui a convincerla. Dopo
averlo cercato un po’, lo trova curvo su di un moribondo; Renzo attende in
silenzio, finché il frate ha finito il suo ufficio, e racconta l’imbroglio
del voto; ma padre Cristoforo non sa rispondere, vuole parlare prima con Lucia,
e si avviano verso la sua capanna.
Quando Lucia
vede il suo buon padre Cristoforo, ha parole di stima e di affetto, ma anche di
dolore per la sua salute. Il frate ha fretta; dopo avere ascoltato Lucia, non
ravvede alcun impedimento al matrimonio, perché no si può « offrire
la volontà di un altro,» verso il quale ci si è obbligati, perciò
domanda a Lucia se vi siano altri impedimenti, e rispondendo lei di no, la
scioglie dal voto.
E dopo avere
esortato i due giovani a tornare, « con sicurezza e con pace ai pensieri di una volta», non manca di
dare saggi consigli, di illuminare il percorso della loro vita; raccomanda anche
di pensare non solo e non tanto alla vita temporale, da cui prima o poi ci si
dovrà separare, ma all’al di là, dove si vive eternamente; ricorda infine,
se Dio concederà loro figli, di educarli secondo i principi della religione
cristiana. E poi il frate, come per lasciar loro il proprio testamento
spirituale, consegna una scatola di legno con dentro il pane del perdono.
Padre
Cristoforo si interessa anche del prossimo futuro di Lucia, e apprende che la
sua compagna di capanna, a cui la peste portò via tutta la famiglia, che le è
stata come una seconda madre, vi provvederà.
Intanto
Renzo, ricevute alcune commissioni di Lucia per la madre, con padre Cristoforo,
che spera di finire i suoi giorni in servizio del prossimo, si allontana.
Renzo
finalmente può lasciare quel luogo di dolore
andare a Pasturo, alla ricerca della madre di Lucia.
Prima di
partire il giovane si augura di potersi incontrare ancora con il frate, ma
questi risponde: « lassù, spero».
A
noi sembra di vedere, non senza un sentimento di tenerezza e di commozione,
l’anima di costui ascendere verso la beatitudine eterna, tenuto conto della
sua vita, così tristemente travagliata.
