Appena
Lucia si è svegliata, il suo primo pensiero è quello di poter abbracciare la
madre, e in ciò è confortata dalla vecchia, la quale dice che il suo padrone,
momentaneamente assente, farà tutto quello che ella vorrà. Al di là della
porta si sente intanto un rumore insolito; la vecchia apre e l’innominato le
ordina di uscire, e fa entrare don Abbondio con la buona donna, mentre lui,
socchiudendo l’uscio, resta fuori. Lucia, nel vedere don Abbondio, quasi
incredula, come se fosse fuori sentimento, rimane incantata. Nel frattempo la
buona donna, con tutta la sua amabilità, si avvicina a Lucia per consolarla.
Per lei la loro apparizione ha qualcosa d’irreale, crede che sia un miraggio;
non può credere che don Abbondio, un uomo che non brilla certo per coraggio,
possa trovarsi in quel luogo selvaggio, in mezzo a persone così crudeli. Poi,
rassicurata dall’uno e dall’altra, ha la netta sensazione che si sia
trattato di un miracolo, che sia stata la Madonna — invocata da lei — a
mandarli.
Ora
è convinta di trovarsi tra persone innocue, pronte ad aiutarla, che possono
allontanarla da quel luogo di pene; ma subito le sovviene quel signore del
giorno avanti; (l’Innominato, che però Lucia non conosce) e quando don
Abbondio riferisce che è «qui fuori che
aspetta» l’innominato, comprendendo che si parla di lui, spinge
l’uscio ed entra.
A
questo punto la scena ha toni patetici; Lucia, che prima desiderava vederlo,
perché riteneva in lui la persona che l’avrebbe potuta liberare, ora,
trovandosi in mezzo a persone amiche, prova un ribrezzo che si dipinge nel viso.
E l’innominato, quest’uomo in cui è avvenuta una così prodigiosa
conversione, che si sente colpevole nei confronti di Lucia, che intuisce il suo
stato d’animo, con profonda umiltà le chiede perdono; al che Lucia,
confortata e riconoscente, augura che Dio lo ricompensi per la sua misericordia.
Finalmente,
con gran sollievo di don Abbondio, si parte. La buona donna con bontà e squisitezza
consola Lucia e non manca di farle presente che lei si trova in sua
compagnia per volere del cardinale, che ha voluto anche che vi fosse in
quest’occasione don Abbondio, il quale, per la verità – prosegue la buona
donna - « è più impicciato che un pulcino
nella stoppa».
Intanto
don Abbondio è sempre il solito; per tutto il viaggio, in un divertente
soliloquio, mette in evidenza tutta la sua paura. Egli più che per il presente,
ha ora paura dell’avvenire, e pensa tra sé: «Cosa dirà quel bestione di don Rodrigo? Rimanere con tanto di naso a
questo modo, col danno e con le beffe, figuriamo se la gli deve parere amara».
E non esclude che se la possa pigliare con lui, che si trova immischiato in
questa faccenda, senza sua intenzione.
Quando
la comitiva arriva in paese, il primo pensiero di don Abbondio è quello di
rifugiarsi nella sua pieve, dove pensa di essere al riparo da ogni insidia. Così,
preso il suo bastone, incarica l’innominato di far le sue scuse a monsignore,
in quanto lui deve « tornare alla
parrocchia addirittura, per affari urgenti » e parte precipitosamente.
Intanto
Lucia, dopo tante tribolazioni, è giunta in casa della buona donna, dove è
ospitata cordialmente e generosamente. Per lei, trovarsi accanto ad una donna
munifica ed in un ambiente in cui non ha nulla da temere, significa ritrovare la
pace dello spirito. Ma, appunto, ora che la sua mente non è più sconvolta da
avvenimenti terribili, ricorda il voto pronunziato; pensa al suo Renzo, e nel
suo intimo si sente colpevole; sa che ciò recherà tanto dolore al suo uomo; ma
subito se ne pente di questo attimo di debolezza, perché in lei il sentimento
religioso è più forte, e prega, intanto, affinché le sia concessa la forza di
adempiere il voto.
Superata
la crisi del voto, può riprendere la sua serenità, perché, nella casa in cui
è ospitata, anche il marito, che fa il sarto, e che è persona molto religiosa,
«la miglior pasta del mondo », è
molto contento della presenza di Lucia, come se vi fosse scesa la benedizione
del cielo.
Mentre
Lucia è circuita da un sincero affetto, ad accrescerne la gioia, ecco
sopraggiungere la madre, fatta venire per interessamento del cardinale. In un
baleno, madre e figlia, sono nelle braccia l’una dell’altra, e si
abbandonano ad un pianto dirotto. Quindi, Lucia, su richiesta di Agnese, che
conosceva solo in parte, e confusamente, ciò che era capitato alla figlia,
racconta tutte le sue traversie, ma nasconde la circostanza del voto, «
proponendosi di farne prima la confidenza al padre Cristoforo». Agnese da
parte sua confida alla figlia che padre Cristoforo è stato trasferito in un
paese lontano e che Renzo è in un luogo sicuro, in territorio bergamasco, ma
nessuno sa esattamente dove.
Mentre
Lucia ringrazia il Signore, perché Renzo è salvo, ecco comparire il cardinale,
per « rendere onore alla sventura,
all’innocenza, all’ospitalità e al suo proprio ministero in un tempo».
Egli è accolto con riverente e commosso rispetto; ha parole affettuose per
Lucia, « messa a una gran prova, » e
fa delle domande, a cui Agnese, più loquace del solito, come a volersi sfogare,
risponde che tutti i preti fossero come lui, i poveri non soffrirebbero tanto; e
quindi, incoraggiata dal cardinale, parla delle prepotenze di don Rodrigo nei
confronti di Renzo e Lucia, e del rifiuto di don Abbondio di sposarli; ma del
racconto fa «un piccolo stralcio, » nasconde,
cioè, il tentativo del matrimonio clandestino, ideato da lei; ma un intervento
di Lucia, sempre scrupolosa ed onesta, riferisce anche questo episodio. Poi il
discorso cade su Renzo; Agnese racconta quello che sa, e l’arcivescovo
promette il suo interessamento. Rivolto poi ai padroni di casa, domanda loro
«se sarebbero stati contenti di ricoverare, per quei pochi giorni, le ospiti che
Dio aveva loro mandate ». Alla risposta lesta della buona donna: «oh! sì signore» il marito, che ha fama di uomo di cultura, desideroso di
farsi onore alla presenza di così degna ed autorevole persona, studia
ansiosamente qualche bella risposta; pensa un momento, la sua mente è invasa da
un cumulo di idee confuse, fruga meglio, e finalmente pronunzia solo un
enfatico: «si figuri!» cosa di cui
non si darà pace.
Questo
capitolo, ricco di avvenimenti, si conclude con un palpitante e solenne
resoconto dell’innominato circa la sua conversione. Egli infatti riunisce
tutti i suoi dipendenti «nella sala grande» fa presente che la strada intrapresa finora «conduce
nel fondo dell’inferno»,
che lui ha mutato vita, e che preferisce morire piuttosto morire che agire
contro la legge di Dio, e li ammonisce che d’ora in poi nessuno di loro potrà
fare del male, perché non godrà della sua protezione.
Egli tuttavia spera che
quanto è avvenuto in lui, avvenga anche per coloro che lavorano alle sue
dipendenze, che Dio, tanto misericordioso con lui, anche a loro «mandi il buon pensiero».
Tutti i servitori, anche se sbalorditi,
ascoltano con rispetto e senza alcun segno di ostilità le parole
dell’innominato, e pensano alla decisione da prendere. Intanto l’innominato,
che nel suo animo, per la prima volta sente una pace rasserenatrice, si avvicina
«a quel letto in cui la notte avanti
aveva trovate tante spine», fruga nella sua mente, e trova le preghiere
ch’era solito recitare da bambino, e nel recitarle prova
«una certa dolcezza in quel ritorno materiale alle abitudini della innocenza ».
Fiducioso, quindi, « d’arrivare, con
opere d’espiazione, a una coscienza nuova », si è subito addormentato.
