Home page

 
 
 
 
Home
Chi siamo
Costituzione Europea
Costituzione Italiana
Curiosità
Detti letti
Educazione alimentare
Erbe medicinali
Esopo
Euro
Fedro
Formula 1
Frasi celebri
Giochi di carte
Lingue
Matematica
Modi di dire  
Musica
Promessi Sposi
Proverbi
Pulire senza fatica
Sondaggio
Sicurezza in casa
Totò disse e...scrisse
Trucchi per videogames e non...
Link

 

Riassunto capitolo ventinovesimo

I Promessi Sposi

 

 

 

La notizia della calata dell’esercito nemico apporta scompiglio e paura in tutti, ma certamente in modo particolare in don Abbondio. Il Manzoni pare che si diverta nel descrivere ad ogni occasione lo sbigottimento e lo smarrimento di quest’uomo. Non v’è dubbio che il curato alla paura reale aggiunge quella immaginaria. Egli vorrebbe fuggire  «prima di tutti e più di tutti;» ma in ogni luogo e in ogni strada vede « ostacoli insuperabili e pericoli spaventosi». E così, «stralunato e mezzo fuor di sé,» rincorre Perpetua per concertare una decisione, ma costei, affaccendata a nascondere in soffitta gli oggetti di maggior valore, rimanda ogni decisione a più tardi, e se la piglia col suo padrone che in quei momenti potrebbe pure aiutarla, « invece di venir tra i piedi a piangere e a impicciar». Intanto la gente scappa, per sfuggire alla barbarie nemica; ma don Abbondio, disfatto dal terrore, non riesce a coordinare le idee; è prigioniero della sua paura. Perpetua però, sistemate alla men peggio le cose, e sotterrati i denari sotto il fico, è sul punto « di prenderlo per un braccio, come un ragazzo, e di strascinarlo su per una montagna,» quando Agnese, per loro sollievo, giunta opportunamente, propone di rifugiarsi dall’innominato, che le aveva promesso di aiutarla in qualunque circostanza. In quel castello, così ben munito, sarebbero al sicuro. Ma don Abbondio è perplesso, non sa prendere una decisione, e chiede il parere di Perpetua, che prontamente giudica la proposta di Agnese provvidenziale, come piovuta dal cielo.

Durante il viaggio verso il castello don Abbondio, tremebondo com’è, pensa che tutti complottino contro di lui, dalla persona più umile all’imperatore. E se la prende col duca di Nevers, con l’imperatore, col governatore che dovrebbe « tener lontani i flagelli dal paese ».

Perpetua, premurosa ed interessata, ora che può pensare con calma, è angustiata per la roba nascosta in fretta e malamente. Don Abbondio, ormai non molto preoccupato per la vita, rimprovera a Perpetua di non aver la testa a posto; ma Perpetua, assumendo un aspetto stizzoso, « mettendo i pugni sui fianchi » respinge le accuse, e si lamenta che se la roba non è stata sistemata bene, la colpa è del suo padrone, sempre pauroso e tra i piedi, e perché non è stata aiutata da nessuna.

Anche Agnese ha i suoi guai; ma non è amareggiata per eventuali danni che potrà subire, ma perché pensa che con il precipitare degli avvenimenti, in autunno, Lucia non sarà condotta da donna Prassede al paesino stabilito, e perciò non potrà riabbracciarla.

Mentre si avviano verso il castello dell’innominato, don Abbondio è accompagnato dalla fedele e inseparabile paura. Neppure quando si trova in casa del sarto, che abita sulla via che conduce al castello, e che Agnese propone di visitare, si sente tranquillo, malgrado gli si dica che il castello è un luogo sicuro, che ogni gesto dell’innominato a volto a fin di bene, la servitù rimasta è gente da non temere.

Che l’innominato fosse cambiato, dopo l’incontro con il cardinale, era la verità. Egli infatti, memore e pentito delle violenze commesse, e convinto che « ogni male che gli venisse fatto, sarebbe un’ingiuria riguardo a Dio, ma riguardo a lui una giusta retribuzione», camminava senza scorta e senza armi. Ma nessuno gli fa del male; da quando ha sostituito la ferocia con la mansuetudine, con la bontà, non vi è più persona che nutra sentimenti di vendetta, anzi è ammirato da tutti, persino dalla forza pubblica.

Il Manzoni in questo capitolo riesce a descrivere in modo meraviglioso, tutta la forza morale di quest’uomo conquistata sulle rovine dei suoi crimini, come il sorgere di un giorno radioso, dopo una notte tempestosa.

Egli considera il suo castello come un asilo dei deboli; e quando sopraggiunge qualche fuggiasco o qualche sbandato, lo accoglie « con espressioni piuttosto di riconoscenza che di cortesia ».

I suoi servitori, « pochi e valenti » armati ben bene, son pronti a difendere il castello da eventuali attacchi dei lanzichenecchi e cappelletti. Dispone altresì che apprestino letti e ritirino gran quantità di cibi, per meglio accogliere i nuovi arrivati, sempre in numero crescente. Egli stesso non sta mai fermo; nell’ansia di far bene, dà ordini e controlla di persona se tutto è in regola, « dentro e fuori del castello, su e giù per la salita, in giro per la valle ». Certamente costui è un uomo di prima grandezza che, in contrapposizione al suo passato, ha un fascino tutto particolare.

 

 

 

 

 

 

 

 

bullet

Capitolo I

bullet

Capitolo II

bullet

Capitolo III

bullet

Capitolo IV

bullet

Capitolo V

bullet

Capitolo VI

bullet

Capitolo VII

bullet

Capitolo VIII

bullet

Capitolo IX

bullet

Capitolo X

bullet

Capitolo XI

bullet

Capitolo XII

bullet

Capitolo XIII

bullet

Capitolo XIV

bullet

Capitolo XV

bullet

Capitolo XVI

bullet

Capitolo XVII

bullet

Capitolo XVIII

bullet

Capitolo XIX

bullet

Capitolo XX

bullet

Capitolo XXI

bullet

Capitolo XXII

bullet

Capitolo XXIII

bullet

Capitolo XXIV

bullet

Capitolo XXV

bullet

Capitolo XXVI

bullet

Capitolo XXVII

bullet

Capitolo XXVIII

bullet

Capitolo XXIX

bullet

Capitolo XXX

bullet

Capitolo XXXI

bullet

Capitolo XXXII

bullet

Capitolo XXXIII

bullet

Capitolo XXXIV

bullet

Capitolo XXXV

bullet

Capitolo XXXVI

bullet

Capitolo XXXVII

bullet

Capitolo XXXVIII

Se volete contattarci cliccate qui

(Se qualcosa fosse protetta da copyright segnalatecelo e noi provvederemo ad eliminarlo)